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Riconoscimento in Italia degli atti stranieri relativi alla famiglia

Gli atti relativi alla famiglia (matrimonio, divorzio, filiazione, etc...), alla capacità delle persone e ai diritti della personalità, sono riconosciuti in modo automatico in Italia, in base alla legge sul diritto internazionale privato, purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa (articolo 65 della legge di riforma del diritto internazionale privato del 31 maggio 1995 n. 21) Per averne riconoscimento in ogni sede ufficiale, bisogna esibire gli atti in originale, legalizzati dal Consolato italiano competente per la zona in cui sono stati formati e tradotti nella stessa sede o in Italia (traduzione asseverata in Tribunale). In caso di contestazione della loro validità in Italia (ad esempio, perché un ufficio ritiene che le condizioni siano contrarie all’ordine pubblico o non siano stati rispettati i diritti essenziali di una delle parti), si potrà sottoporre l’atto alla valutazione della Corte di Appello (articolo 67 della legge suddetta). Simili principi valgono anche per tutti i provvedimenti di giurisdizione volontaria (tutela, affidamento consensuale, separazione consensuale, adozione di maggiorenni, etc...).   Ricongiungimento familiare Il tema del riconoscimento dei provvedimenti stranieri di affidamento e tutela del minore è stato affrontato spesso dai tribunali italiani, soprattutto con riferimento al riconoscimento dei provvedimenti di Kafalà di diritto islamico, ai fini del ricongiungimento familiare. La Corte di Cassazione ha affermato che questo istituto è riconosciuto dall’ordinamento italiano. Pertanto si può ottenere il visto ed il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare in base ad esso: sentenza del 20 marzo 2008 n. 7472->http://legale.savethechildren.it/Corte-di-Cassazione-I-sezione-civ]; [sentenza del 20 gennaio 2010 n. 190. La Corte di Appello di Venezia ha affermato che i bambini affidati in Marocco con l’istituto della Kafalà rientrano fra i familiari ammessi al soggiorno in Italia in base alle norme applicabili ai cittadini comunitari e italiani. Pertanto è legittimo il ricongiungimento del minore così affidato al cittadino italiano che ha anche la cittadinanza del Regno del Marocco. Si veda il decreto della Corte di Appello di Venezia del 9 febbraio 2011 n. 47.   Un limite di ordine pubblico è stato riconosciuto quando l’affidamento o un altro provvedimento di protezione simile è disposto da autorità estere nei confronti di cittadini italiani, al fine di soggiornare in Italia con il minore straniero. A questo proposito, si è espressa la Corte di Cassazione in due recenti sentenze del 23 settembre 2011 n. 19450->http://legale.savethechildren.it/Corte-di-Cassazione-I-sezione-civ,536] e [del 1 marzo 2010 n. 486. Quando gli affidatari sono cittadini italiani, si ritiene prevalente l’applicazione della normativa in materia di adozione internazionale (art. 41, 2° comma, della legge n. 218/1995) e il ricongiungimento non si può disporre. La questione dell’autorizzazione all’ingresso e al soggiorno di minori affidati a cittadini italiani con l’istituto della Kafalà è stata decisa dai Tribunali e altre corti in modo discordante. Al fine di dirimere il contrasto fra i diversi orientamenti emersi, la questione è stata rimessa alla decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Si veda, a questo proposito, l’ ordinanza del 24 gennaio 2012 n. 99 della Sesta sezione civile della Corte di Cassazione.      

2013-04-10T15:47:01+02:0010 Aprile 2013|Schede Tematiche|

Corte Europea per i Diritti Umani, sentenza del 19.2.2013 (causa n. 19010/07)

E' illegittimo rifiutare l'adozione del bambino da parte della compagna della madre. Nel caso di X e altri c Austria, la Corte ha dichiarato che vi è stata violazione della Convenzione. Il caso riguardava la denuncia presentata da due donne che vivono in una relazione stabile per il rifiuto dei giudici austriaci di concedere il diritto di adottare il figlio della compagna. Lo scopo è riconoscere il vincolo di genitorialità fra il bambino e la compagna della madre. La legge austriaca presume l’eterosessualità della coppia e prevede che l’adozione da parte della compagna avrebbe comportato la perdita della potestà della madre. La Corte ha constatato che la differenza di trattamento tra i ricorrenti e una coppia non sposata eterosessuale era basata sull’orientamento sessuale dei ricorrenti. Il governo austriaco non ha fornito ragioni convincenti per dimostrare che l’esclusione dell’adozione da parte della compagna della madre è necessaria per la tutela della famiglia nel senso tradizionale o per la tutela degli interessi del minore. La distinzione è quindi discriminatoria (principi sanciti agli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea per i diritti umani). La corte ha pertanto affermato che vi è violazione di questi principi e ha dichiarato illegittimo il rifiuto dei giudici austriaci di concedere il diritto di adottare il figlio della compagna senza recidere legami giuridici della madre con il bambino (adozione del bambino da parte del genitore elettivo). Allo stesso tempo, la Corte ha sottolineato che la Convenzione non obbliga gli Stati ad estendere il diritto di secondo genitore adozione alle coppie non sposate. Il testo della sentenza è disponibile in lingua inglese e francese.  

2013-03-04T16:17:39+01:004 Marzo 2013|Corte Europea per i Diritti Umani|

Corte di Cassazione, sez. I civile, sentenza n. 18563 del 29 ottobre 2012

ls2010adIl figlio minore può essere dichiarato in stato di abbandono e adottabile solo se, per il fatto di entrambi dei genitori, è stato compromesso lo sviluppo fisico e l’equilibrio psicologico del minore.     I genitori affetti da patologie mentali, anche di origine non temporanee, non sono da considerare automaticamente inadatti al ruolo genitoriale. La Corte ha evidenziato l’ importanza di tutelare il minore garantendogli la possibilità di crescere con i genitori biologici, soprattutto quando uno o entrambi i genitori si mostra disponibile a seguire un percorso psicologico finalizzato a tale scopo. I genitori che possono recuparare la capacità di occuparsi efficacemente di sé e dei loro figli possono essere aiutati dai servizi a tale fine. solo se, per il fatto di entrambi dei genitori, è stato compromesso lo sviluppo fisico e l’equilibrio psicologico del minore. Fonte: Cassazione: va dichiarata adottabilità se genitori compromettono sviluppo fisico ed equilibrio psicologico del minor (StudioCataldi.it) solo se, per il fatto di entrambi dei genitori, è stato compromesso lo sviluppo fisico e l’equilibrio psicologico del minore. Fonte: Cassazione: va dichiarata adottabilità se genitori compromettono sviluppo fisico ed equilibrio psicologico del minor (StudioCataldi.itIl figlio minore può essere dichiarato in stato di abbandono e adottabile solo se, per il fatto di entrambi dei genitori, è stato compromesso lo sviluppo fisico e l’equilibrio psicologico del minore. Il figlio minore può essere dichiarato in stato di abbandono e adottabile solo se, per il comportamento di entrambi i genitori, è stato compromesso lo sviluppo fisico e l’equilibrio psicologico del minore.   I genitori affetti da patologie mentali, anche di origine non temporanee, non sono da considerare automaticamente inadatti al ruolo genitoriale. La Corte ha evidenziato l’ importanza di tutelare il minore garantendogli la possibilità di crescere con i genitori biologici, soprattutto quando uno o entrambi i genitori si mostra disponibile a seguire un percorso psicologico finalizzato a tale scopo.  

2012-11-16T15:28:34+01:0016 Novembre 2012|Giurisprudenza italiana|

Corte Europea per i Diritti Umani, sentenza del 23.02.2012 Hirsi et al. v. Italia

Sono illegittimi i respingimenti in mare per violazione dei diritti umani fondamentali. Il processo ha origine dal respingimento da parte delle autorità italiane di circa 200 cittadini eritrei e somali, inclusi donne e bambini, intercettati in acque internazionali al largo di Lampedusa e successivamente ricondotti in Libia lo scorso 6 maggio 2009. La Corte ha accolto il ricorso di 22 ricorrenti condannando l’Italia per l’azione di refoulement in Libia commessa dalle autorità italiane, in violazione degli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 13 ( diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, nonché dell’art. 4 del Protocollo aggiuntivo n. 4 alla Convenzione medesima (divieto di espulsioni collettive). Scarica la sentenza, disponibile in lingua francese e inglese (pulsante a destra) Ref.: ricorso n. 27765/09  

2012-02-23T14:19:23+01:0023 Febbraio 2012|Corte Europea per i Diritti Umani|

Per una banca dati dei bambini da adottare in Italia

Per attivare la banca dati dei minori adottabili, l’Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini ricorre al TAR: COMUNICATO STAMPA TAR del Lazio: Ai.Bi. contro il Ministero della Giustizia per la banca dati dei minori adottabili. Aperta una class action Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha fissato per il 4 luglio 2012 l’udienza pubblica durante la quale verrà discussa la causa che Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini ha proposto contro il Ministero della Giustizia. Si tratta di un ricorso che Ai.Bi. ha notificato al Ministero il 23 dicembre 2011, ai sensi del decreto legislativo n. 198/2009. Il motivo? Il Ministero è inadempiente. Non ha ancora istituito la banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione. Nel ricorso, in difesa dell’interesse dei minori adottabili, Ai.Bi. ha chiesto al TAR di obbligare l’Amministrazione del Ministero a creare la banca dati entro un termine fissato dai giudici. L’obbligo di istituire la banca dati è previsto per legge, dall’art. 40 della legge n. 149 del 2001. Lo scandaloso ritardo del Ministero della Giustizia dura già da oltre 10 anni. Tutti i soggetti, sia associazioni che privati, che sono stati danneggiati dalla mancata creazione della banca dati, possono aderire alla causa mediante la procedura della “Class Action” e potranno intervenire nel giudizio per chiedere insieme la condanna del Ministero della Giustizia. Si chiede dunque alle associazioni che hanno tra gli scopi statutari la difesa, anche in via giudiziale, del diritto dei minori a vivere in famiglia – o, più genericamente, dei diritti dei minori riconosciuti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza –, di fare sentire la propria voce per questa battaglia e di unirsi ad Ai.Bi. Anche le coppie che, nel corso degli ultimi tre anni, hanno presentato la propria domanda di adozione presso un tribunale per i minorenni, dichiarandosi disponibili ad adottare anche minori diversamente abili o gruppi di fratelli, potranno intervenire nella causa. Inoltre gli stessi minori, dichiarati adottabili da almeno 6 mesi ma non ancora adottati, potranno intervenire tramite un loro rappresentante legale. Ai.Bi. è al lavoro con i propri avvocati per consentire a tutti di fare il minimo sforzo e per rendere questa adesione completamente gratuita. Gli interessati che vogliono aderire possono contattare l’Ufficio Diritti dell’Associazione Amici dei Bambini all’indirizzo diritti@aibi.it o al numero di telefono 02.98822332. Si ricorda che il termine per depositare gli atti è di 20 giorni prima dell’udienza, quindi l’adesione all’iniziativa di Ai.Bi. dovrà avvenire entro il 31 maggio 2012. Per adesioni: Ufficio Diritti di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini diritti@aibi.it Per informazioni alla stampa: Marco Maccari Ufficio Stampa di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini San Giuliano Milanese (MI) tel 02/98822369 – 3346412809  

2012-02-21T11:05:51+01:0021 Febbraio 2012|News|

Corte di Cassazione Sez. I Civ., ordinanza del 28.12.2011 n. 29424

La disponibilità di accoglienza delle coppie non può essere condizionata né limitata in funzione delle caratteristiche del minore, poché l’adozione internazionale è prima di tutto uno strumento di solidarietà. Perciò non è idonea ad adottare un bambino la coppia che pone delle riserve tali da escludere bambini per la loro provenienza da genitori di religione diversa da quella cattolica, o di origine rom, o con difficoltà psichiatriche. 

2012-01-10T20:53:32+01:0010 Gennaio 2012|Giurisprudenza italiana|

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. IV, sentenza del 20 settembre 2011, A.A. c. Regno Unito

Contrasta con il principio di tutela della vita familiare previsto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo l’espulsione del minorenne verso la Nigeria, pur a seguito della condanna a un reato grave. Ciò al fine di tutelare l’unità con la famiglia di origine, residente nel Regno Unito, nonché il suo positivo percorso di integrazione. Testo della sentenza in inglese (a lato)

2011-11-13T19:51:05+01:0013 Novembre 2011|Corte Europea per i Diritti Umani|
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