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Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 28 aprile 2011 in causa C‑61/11 PPU

In base alla direttiva comunitaria 008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, la Corte di Giustizia ha affermato che gli Stati membri non possono introdurre una pena detentiva al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo. Ciò è invece previsto dalla legge italiana, nel caso in cui un cittadino di un paese non appartenente all’Unione Europea permanga nel territorio nazionale, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e che il termine impartito con tale ordine è scaduto. La disposizione, inserita all’articolo 14 comma 5-{quater} del Testo Unico sull’Immigrazion si applica agli adulti stranieri e ai loro figli minori, che devono seguirli: “Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5 ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5 bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.” La Corte osserva che le condizioni e le modalità applicative di una tale pena detentiva rischiano di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali. Il giudice italiano, incaricato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, dovrà quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Link alla sentenz sul sito della Corte di Giustizia

2011-05-18T16:32:33+02:0018 Maggio 2011|Corte di Giustizia dell'Unione Europea|

Corte Costituzionale, sentenza dell’11 marzo 2011 n. 83

Con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 250 del Codice Civile, nella parte in cui non prevede, per il figlio di età inferiore a sedici anni «adeguate forme di “tutela” dei suoi preminenti personalissimi diritti, nella specie di autonoma rappresentazione e difesa in giudizio, diritti costituzionalmente garantiti, la Corte Costituzionale ha affermato che la norma è conforme al dettato costituzionale in quanto interpretata nel senso di ritenere riconosciuta al minorenne la qualità di parte nel giudizio di opposizione al riconoscimento della filiazione: “Se, di regola, la sua rappresentanza sostanziale e processuale è affidata al genitore che ha effettuato il riconoscimento (in base agli articoli 317-bis e 320 del Codice Civile), qualora si prospettino situazioni di conflitto d'interessi, anche in via potenziale, spetta al giudice procedere alla nomina di un curatore speciale. Ciò può avvenire su richiesta del pubblico ministero, o di qualunque parte che vi abbia interesse (art. 79 cod. proc. civ.), ma anche di ufficio, avuto riguardo allo specifico potere attribuito in proposito all'autorità giudiziaria dall'art. 9, primo comma, della citata Convenzione di Strasburgo. In tali sensi interpretato, il citato art. 250, quarto comma, cod. civ. si sottrae alle censure sollevate con l'ordinanza di rimessione, in relazione a tutti i parametri evocati".

2011-04-12T13:31:00+02:0012 Aprile 2011|Giurisprudenza italiana|

Decreto del G.I.P. di Bari dell’11 dicembre 2009

Su richiesta del Pubblico Ministero, il Giudice per le Indagini Preliminari archivia la richiesta di perseguire penalmente l’imputato minorenne per il reato di ingresso e soggiorno illegale istituito con la Legge sulla Sicurezza n. 94/2009 (articolo 10bis del Testo Unico sull’immigrazione, decreto legislativo n. 286/1998). Non è configurabile il reato a carico del minorenne che si trovi in Italia in condizioni abbandono in quanto egli non può essere espulso bensì deve ricevere protezione sulla base della legislazione italiana in materia di adozione, affidamento e interventi urgenti. Non è configurabile il reato di ingresso illegale anche perché è dubbio l’elemento psicologico del reato (dolo o colpa), in quanto il minore si è verosimilmente affdato a soggetti adulti con legittime aspettative di essere tutelato.  

2011-04-05T17:07:42+02:005 Aprile 2011|Giurisprudenza italiana|
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