Sulla base di una rigida interpretazione del nuovo Regolamento Regionale relativo all’accesso all’edilizia pubblica approvato nell’Agosto del 2017, il Comune di Sesto San Giovanni (Mi) chiede oggi agli stranieri che intendano usufruire degli alloggi popolari di comprovare la loro situazione patrimoniale mediante attestati rilasciati dalle autorità dei paesi di provenienza, non ritenendo più sufficiente la semplice autocertificazione, come è invece richiesto per tutti i cittadini comunitari. .

A causa delle difficoltà, molto spesso oggettiva impossibilità, che incontrano molti extracomunitari nel reperire tali certificazioni, nell’ultimo anno nel Comune di Sesto San Giovanni si è assistito ad un crollo nelle assegnazioni di case popolari agli stranieri, passando dall’81% del 2017 al 5,13% del 2018.

Il caso della signora ecuadoriana. Nel 2016, la signora L., sposata e madre di tre bambini, aveva presentato domanda per ottenere un alloggio di edilizia popolare nel Comune di Sesto San Giovanni per la sua famiglia. A seguito dello scorrimento della graduatoria, nel 2018 era stata chiamata dal Comune che le aveva chiesto, al fine di poter usufruire del beneficio, di presentare un certificato tradotto e legalizzato che potesse attestare che tutti i membri della sua famiglia non possedessero proprietà immobiliari nel paese di origine. La signora si era quindi rivolta al proprio consolato che le aveva rilasciato un certificato relativo al solo cantone di Quito, capitale dell’Ecuador, specificando che non poteva “certificare l’esistenza di beni immobili su tutto il territorio della Repubblica dell’Ecuador, in quanto” nel paese “non esiste un Registro delle proprietà nazionale”. In Ecuador infatti, in assenza di un ufficio del catasto nazionale, sono i singoli cantoni che trascrivono sui rispettivi registri le proprietà immobiliari. Tale certificazione presentata unitamente a una dichiarazione sostitutiva, non è stata tuttavia ritenuta sufficiente dal Comune, che ha cancellato la signora dalla graduatoria motivando tale scelta col fatto che la richiedente non avrebbe presentato quanto prescritto dalla legge, poiché il certificato era “circoscritto ad un solo cantone e non riferito all’intero territorio equadoregno”. Un problema di difficile soluzione, considerando che i cantoni in Ecuador sono 221 e che per richiedere un certificato per ogni membro della famiglia la signora sarebbe arrivata a dover presentare così 1.005 certificati, tradotti e legalizzati.

Il ricorso al TAR. La donna decide quindi di ricorrere presso il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Lombardia motivando la sua scelta, da una parte con l’oggettiva difficoltà nel reperire la documentazione richiesta per ogni comparto amministrativo, dall’altra, denunciando la richiesta del Comune come discriminatoria per violazione del principio di parità di trattamento. La difesa della ricorrente ricorda infatti che per i cittadini italiani e per quelli comunitari, a differenza degli extracomunitari, continua ad essere necessaria la semplice autocertificazione di non proprietà.

Motivazioni tuttavia respinte dal TAR che giudica la decisione del Comune lecita. Il TAR non solo ribadisce l’onere per il richiedente di dimostrare di non avere proprietà nel proprio paese di origine, ma ritiene anche corretta la scelta dell’amministrazione di non tenere in considerazione l’autocertificazione presentata dall’interessata. Il Tribunale esclude infatti la possibilità di avvalersi di una dichiarazione sostitutiva per attestare la propria impossidenza nel Paese di provenienza, ritenuta valida solo qualora in sede di controllo sia possibile dimostrare agilmente la sua autenticità o in presenza di specifici accordi internazionali. Il TAR sottolinea inoltre che quando non è possibile ricorrere a certificati o attestazioni rilasciati dalle competenti autorità straniere a causa dell’assenza di quest’ultime o della presunta inaffidabilità dei documenti, è necessario rivolgersi alle rappresentanze diplomatiche e consolari affinché provvedano al rilascio delle certificazioni sulla base delle verifiche ritenute necessarie che effettueranno a spese degli interessati. Nel caso “di impossibilità oggettiva, il console in Italia dello Stato straniero potrà certificare il fatto richiesto, pur non essendo il depositario istituzionale dei relativi dati, effettuando in proprio e direttamente le indagini necessarie”.

Un problema che continua a ripetersi. La decisione del TAR sembrerebbe andare in controtendenza rispetto all’ordinanza del Tribunale di Milano dello scorso dicembre, in cui è stata accertata la condotta illegittima del Comune di Lodi di modifica del regolamento sull’accesso alle prestazioni sociali agevolate. In tal caso, il Giudice ha ritenuto discriminatorio richiedere ai cittadini stranieri non comunitari una documentazione aggiuntiva rispetto a quella richiesta agli italiani obbligando i primi a fornire, oltre all’ISEE, le certificazioni consolari relative alla situazione patrimoniale nei paesi di origine. Su caso specifico, che aveva portato alcuni bambini a vedersi negato il diritto ad usufruire della mensa scolastica, si era espressa anche Save the Children che aveva lodato la decisione del Tribunale di Milano in quanto “ha segnato un passo di civiltà con l’obbligo imposto al Comune di Lodi di riformare il regolamento che impediva di fatto l’accesso alle agevolazioni al servizio per le famiglie di origine straniera, ponendo in essere un grave discriminazione”.

L’impossibilità di autocertificare la propria posizione patrimoniale, dovuta all’applicazione di politiche estremamente restrittive, continua ad essere un argomento quanto mai di attualità che, come ricordato da entrambi i ricorrenti (nel caso Lodi e in quello di Sesto San Giovanni), contrasta con il principio di parità di trattamento tra lo straniero e il cittadino comunitario sancito nel TU immigrazione che stabilisce  che “allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge”(art. 2 comma 5 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

In questi giorni l’argomento è diventato inoltre oggetto di dibattito anche dentro il Parlamento italiano. Attualmente infatti è in discussione l’approvazione del D.L attuativo del Reddito di Cittadinanza che è stato emendato chiedendo ai cittadini extracomunitari che intendono avvalersi di tale misura di sostegno, non solo di dimostrare 10 anni di residenza in Italia, ma anche di presentare la certificata documentazione relativa alla loro situazione patrimoniale nei paesi di provenienza.