Nel VI rapporto annuale “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021” Save the Children analizza la situazione delle madri in Italia, quest’anno con un focus speciale dedicato alla maternità, al lavoro e alla cura dei figli nel contesto pandemico.

Il rapporto di Save the Children dipinge una situazione difficile per le donne in Italia, in cui emergono chiaramente alcune nette differenze tra Nord e Sud. Infatti, dall’inizio della pandemia, circa 96 mila mamme hanno dovuto rinunciare al posto di lavoro o sono state costrette a interrompere il loro contratto per prendersi cura dei figli più piccoli, rimasti a casa a lungo in seguito alla chiusura degli asili nido e scuole materne. Ciò ha esasperato i divari di genere già presenti in Italia, raggiungendo il 15% al Nord-Centro e toccando il 23,8% nelle regioni del Mezzogiorno.

Le principali sfide da affrontare riguardano la denatalità, fenomeno dettato soprattutto dalle scelte che la donna deve compiere in materia di carriera lavorativa. La natalità, infatti, continua a calare in tutto il Paese e non si intravedono segnali di recupero all’orizzonte. Il fenomeno ha origini principalmente socioeconomiche, cioè deriva dalla mancanza di politiche organiche e continuative di sostegno alla famiglia e alle donne-madri. Ne consegue che il 72,9% dei casi di dimissioni proviene da madri lavoratrici, per la difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei figli.

In questa situazione, l’irruzione della pandemia ha provocato effetti disastrosi. Il senso di incertezza economico che è gravato su molte famiglie, abbinato alle difficoltà oggettive di compiere scelte vincolanti a lungo termine, ha determinato un ulteriore calo della natalità rispetto all’anno precedente: nel 2020 sono nati quasi 16 mila bambini in meno rispetto al 2019 (-3,8%).

Insieme alla pandemia, il governo ha avviato una serie di politiche di sostegno alla genitorialità, dal bonus baby-sitter al congedo parentale straordinario, dimostrando la fragilità e l’inefficacia del sistema precedente. A sostegno dei genitori nel periodo di lockdown in particolare, il Decreto Cura Italia (DL 18/2020) ha introdotto un congedo fino a 15 giorni retribuiti al 50% per genitori lavoratori con figli fino a 12 anni, o un bonus baby-sitter fino a 600 euro. A seguire, il Decreto Rilancio (DL34/2020) ha ampliato a 30 giorni il congedo straordinario e aumentato il bonus baby-sitter fino a 1200 euro, e a 2000 euro per i lavoratori del settore sanitario e in prima linea nell’emergenza. Successivamente, nella seconda fase della pandemia, da settembre a dicembre 2020, il congedo straordinario è stato previsto nei casi in cui i figli rimanessero a casa in quarantena quando le scuole erano chiuse. Nella terza fase della pandemia, è stata reintrodotta, da marzo a giugno 2021, la possibilità per i lavoratori dipendenti con i figli sotto i 14 anni a casa da scuola per chiusura o per quarantena, di godere di un congedo straordinario retribuito al 50%, oppure lavorare in modalità “smart” se si hanno figli sotto i 16 anni; era anche possibile richiedere un bonus di massimo 100 euro a settimana per baby-sitter o per servizi integrativi per l’infanzia.

Secondo la rete di associazioni ed esperti dell’Alleanza per l’Infanzia, queste misure “hanno potuto rispondere solo in misura parziale e sicuramente non sufficiente ai bisogno di conciliazione e di sostegno alle spese delle famiglie con figli”. Tra le principali criticità rilevate c’è il paradosso per cui lo Smart working da casa viene considerato un efficace strumento di conciliazione tra lavoro e famiglia, come alternativa al congedo. Tuttavia, questa è una percezione distante dalla realtà, poiché non assicura né ai genitori (e alle madri in particolare) di poter svolgere il proprio lavoro in modo produttivo, né ai figli di ricevere le cure e le attenzioni educative di cui hanno bisogno rimanendo a casa. Con la crisi è dunque emerso con forza il fenomeno della child penalty, una penalizzazione sul reddito delle madri. Ne è stato un esempio il congedo retribuito al 50% che ha spinto ad usufruirne il percettore di redditi più bassi (molto spesso le donne all’interno della coppia), penalizzando le famiglie a basso reddito e andando a pesare ancora di più sulle madri per la cura dei figli. Infine, il bonus baby-sitter è stato reso più restrittivo con l’ultimo decreto, escludendo i lavoratori dipendenti non impegnati nei settori essenziali, a cui non rimaneva altra possibilità se non accettare il congedo con stipendio dimezzato.

L’emergenza covid avrebbe potuto rappresentare un’occasione per riequilibrare maggiormente la condivisione dei compiti domestici tra madri e padri, affinché anche i secondi riuscissero a trovare spazi di flessibilità nel lavoro per dedicare più tempo alla cura della casa e dei bambini. Le politiche introdotte non sembrano aver avuto un impatto in questo senso.

Da qui, la riflessione sulla necessità di creare un sistema integrato, gratuito e inclusivo, all’interno del quale i bambini da zero a sei anni possano apprendere e vivere ambienti educativi adatti alla loro età e indispensabili alla loro crescita. Queste politiche, oltre a garantire maggiori opportnuità educative sin dalla primissima infanzia e colmare i rischi di povertà educativa, aiuteranno le donne e le madri a superare una situazione che le relega unicamente alla cura dei figli e della casa e a ritrovare un nuovo ruolo all’interno del mondo del lavoro, da vere equilibriste quali sono.

 

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Per approfondire il fenomeno della Child Penalty