Aumenta il numero delle persone decedute nel Mar Mediterraneo. 170 sono le persone che hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo durante la settimana appena trascorsa.

Secondo quanto riportato dall’UNHCR (United Nations High Commission for Refugees), 53 di loro sono deceduti nel naufragio avvenuto nei giorni scorsi nel Mare di Alborán, Mediterraneo occidentale.

Altri 117, tra cui due bambini e una donna incinta, si stima siano morti nel naufragio avvenuto tra il 18 e il 19 gennaio a una cinquantina di miglia a largo delle le coste libiche. A denunciarlo sono stati gli unici tre superstiti recuperati, in grave stato di ipotermia, da un elicottero della Marina Militare Italiana che li ha trasportati a Lampedusa. I migranti hanno raccontato che il gommone su cui viaggiavano si era sgonfiato e che prima di essere tratti in salvo sono rimasti per oltre tre ore nell’acqua gelida.

Una nuova emergenza a largo delle coste libiche. Il 20 gennaio, in seguito alla notizia di una nuova imbarcazione in avaria, con oltre 100 persone a bordo in una situazione meteorologica avversa, Save the Children ha diramato un comunicato stampa in cui sottolineava come fosse “immediatamente necessario soccorrere le persone a rischio in mare, a prescindere da qualsiasi altra considerazione”.

Oggi si apprende che, a seguito delle pressioni esercitate dal Governo italiano, le autorità libiche nella tarda serata di ieri hanno inviato un mercantile per recuperare i naufraghi che sono stati trasportati a Misurata, nuovamente in Libia, dove sono più che frequenti torture e gravi violazioni dei diritti umani a danno dei migranti in transito.

L’odissea dei 49 migranti che ha coinvolto Sea Watch e Sea Eye. Solo la settimana scorsa si era conclusa la vicenda che aveva visto le navi Sea Watch 3 e Professor Albrecht Penck – rispettivamente delle organizzazioni non governative Sea Watch e Sea Eye – bloccate in mare da più di due settimane in attesa di un porto in cui poter sbarcare con i migranti soccorsi. La prima aveva soccorso il 22 dicembre a largo delle coste libiche 32 migranti alla deriva, di cui quattro donne, 4 minori non accompagnati e tre bambini, la seconda 17 persone il 28 dicembre.

Solo il 2 Gennaio, in considerazione del peggioramento delle condizioni meteo, il Governo della Valletta aveva concesso alle due imbarcazioni di entrare in acque territoriali maltesi. Tuttavia, – nonostante le due organizzazioni avessero denunciato l’aggravarsi della situazione dovuta allo scarseggiare delle provviste, il rischio dell’insorgere di malattie e l’acuirsi di patologie di post traumatic stress dovuto alla prolungata permanenza in mare – alle due navi era stato imposto di fermarsi a largo della costa avendo posto Malta il divieto assoluto di attracco.

Nell’attesa di un’autorizzazione allo sbarco, diversi attori della società civile e delle istituzioni avevano rivolto numerosi appelli ai governi europei affinché venisse trovato un accordo che potesse porre fine all’empasse.

Tale monito era stato rilanciato anche nel comunicato congiunto del 3 gennaio in cui Save the Children, insieme ad altre 18  organizzazioni – A Buon Diritto Onlus, Acli, ActionAid, Amnesty International Italia, Arci, ASGI, CNCA, Centro Astalli, CIR Consiglio Italiano per i Rifugiati, Emergency ONG, Salesiani per il Sociale, INTERSOS, Medici Senza Frontiere, Médecins du Monde Missione Italia, Medici per i Diritti Umani, SenzaConfine, Terre des Hommes – aveva chiesto “con urgenza all’Italia e agli altri Stati membri dell’Unione europea di attivarsi senza ulteriori tentennamenti affinché i 49 migranti da giorni bloccati in mare, tra i quali diversi minori inclusi bambini molto piccolipotessero “immediatamente sbarcare in un porto sicuro e ricevere l’assistenza umanitaria a cui hanno diritto e le cure di cui hanno bisogno. Le medesime avevano sottolineato che “è semplicemente inaccettabile che bambini, donne e uomini vulnerabili, che hanno già subito privazioni e violenze durante il viaggio, restino per giorni ostaggio delle dispute tra Stati e vedano ingiustamente prolungata la loro sofferenza senza che dall’Europa giunga un richiamo di tutti alle proprie responsabilità.

In assenza di una risposta da parte dei governi, a distanza di 5 giorni le medesime organizzazioni “ribadendo la richiesta dello sbarco immediato dei 49 migranti bisognosi di cure e di assistenza umanitaria avevano chiestocon urgenza al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte un incontro per chiarire i passi intrapresi dall’Italia per sbloccare la situazione e la posizione del nostro Paese sulla vicenda” (leggi qui il Comunicato)

Soltanto il 9 gennaio, il Governo di Malta aveva comunicato il raggiungimento di un accordo a livello europeo sulla redistribuzione dei migranti – nei Paesi della Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania, Lussemburgo, Olanda e in Italia – permettendo l’attracco e il loro sbarco. In Italia la Diaconia Valdese si è assunta il compito di accogliere dieci richiedenti asilo appartenenti a tre diversi nuclei familiari, coprendo autonomamente i costi.

Ancora disaccordo tra i Governi dei Paesi europei. Resta molto alta la tensione sul tema del soccorso in mare, dell’accoglienza e della redistribuzione dei migranti in Europa.

E’ inaccettabile che le persone che fuggono dalle violenze libiche continuino a morire in mare o a restare in balia delle onde, ostaggio delle dispute tra Stati.