Sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altri, persone di una determinata razza od origine etnica (direttiva n. 2000/43) o che professano una determinata religione o ideologia, portatori di disabilità, di una determinata età o di un particolare orientamento sessuale (direttiva n. 2000/78).

Tali disposizioni, criteri o prassi non costituiscono una discriminazione se oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento della stessa sono appropriati e necessari.

Infatti, è importante notare che, a volte, un trattamento differenziato serve proprio ad assicurare pari opportunità a tutti. Le persone che si trovano in situazioni diverse devono ricevere un trattamento diverso le une dalle altre, nella misura in cui ciò sia loro necessario per fruire di determinate opportunità su un piano di parità con gli altri (ad es. le misure specifiche stabilite nel diritto del lavoro a tutela delle donne in stato di gravidanza o dei minori).

Un esempio per comprendere meglio la differenza tra discriminazione diretta e indiretta:

  1. discriminazione diretta si verifica quando un locale aperto al pubblico vieta l’accesso a persone appartenenti ad una determinata etnia.

 

  1. discriminazione indiretta si verifica quando un locale vieta ai commessi e alle commesse di indossare un copricapo durante il lavoro. Questo comportamento è indirettamente discriminatorio nei confronti di coloro che indossano abitualmente un copricapo per motivi di credo religioso (es. il velo per le donne musulmane oppure il kippah ebraico). E’ una discriminazione vietata in quanto illegittima: infatti non è oggettivamente necessario avere il capo scoperto per svolgere le funzioni di commesso/a in un negozio.

 

La Corte di Giustizia europea ha, in tal senso, evidenziato che anche il ricorso al criterio della residenza o di anzianità di residenza può determinare una discriminazione indiretta o dissimulata vietata dall’ordinamento europeo. Esso, infatti, se previsto quale requisito ai fini dell’accesso ad un beneficio può integrare una forma di illecita discriminazione “dissimulata” in quanto può essere più facilmente soddisfatto dai cittadini nazionali piuttosto che dai lavoratori comunitari, finendo dunque per privilegiare in misura sproporzionata i primi a danno dei secondi (ad es. CGE, Meints, causa 57/96, sentenza 27 novembre 1997; CGE, Meussen, causa 337/97, sentenza 8 giugno 1999; CGE, Commissione c. Lussemburgo, causa 299/01, sentenza 20 giugno 2002; CGE, Commissione c. Repubblica Italia).

Ad esempio: richiedere il requisito della residenza per la presentazione della domanda di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica significa indirettamente discriminare gli stranieri i quali possono ottenere l’iscrizione anagrafica a condizioni più difficili di quelle stabilite per i cittadini italiani.