La IX edizione del Rapporto Piccoli Schiavi Invisibili è ricca di novità rispetto alle precedenti: nuove modalità di ricerca, con le interviste agli operatori e alle operatrici sul campo, nuove scelte comunicative, con una graphic novel, nuovi tagli di approfondimento, con la messa in luce delle criticità del sistema.
Lo sfruttamento sessuale è quanto resta sullo sfondo. Uno sfondo sempre più buio, in grado di celare in un’aurea di crescente invisibilità un numero ancora maggiore di vittime.
Nel 2018, sebbene a livello nazionale i dati ufficiali diano riscontro di un numero di vittime minorenni emerse pari a 74, di cui 70 ragazze e 4 ragazzi, su 843 totali, adulte e minori, queste rappresentano solo la punta dell’ice-berg di un fenomeno in realtà molto più diffuso.
E’ sufficiente pensare che nel 2018, i partner del nostro progetto Vie d’Uscita, implementato in appena 5 regioni (Marche, Abruzzo, Lazio, Veneto, Sardegna), hanno intercettato 2.210 vittime di tratta minori e neomaggiorenni. Queste evidenze suggeriscono come, alla luce della trasversalità del fenomeno lungo il territorio nazionale, il numero delle vittime sia maggiore. Anche di diverse migliaia.
Le ragazze che sono maggiormente esposte alle lusinghe delle organizzazioni e delle reti criminali provengono dalla Nigeria o dai Paesi dell’Est Europa e dai Balcani, con profili e modalità di sfruttamento diverse.
Le giovani che partono dalla Nigeria, prima di arrivare in Italia, devono attraversare la Libia dove subiscono abusi e violenze. Successivamente, se riescono a fuggire, attraverseranno il Mediterraneo per giungere in Italia. Qui le difficoltà non finiscono: devono restituire alla maman, la figura femminile che gestisce il loro sfruttamento, un debito di viaggio che raggiunge i 30.000€ e sono costrette a “lavorare” fino a 12 ore a notte, per 10-20€ a prestazione. Un debito su cui ancora sembra pesare il rito juju, nonostante l’emissione dell’editto di Enware II a marzo 2018,
Tuttavia buona parte dei soldi che raccolgono servono per pagare vitto, alloggio e vestiti, spesso anche per il posto in strada dove si prostituiscono. Così facendo l’estinzione del debito diventa quasi impossibile.
Per quanto riguarda la tratta dai Paesi dell’Est Europa e dai Balcani, il reclutamento delle vittime avviene con metodi sempre più efficaci, come ad esempio in Romania, dove le testimonianze raccolte hanno rilevato l’esistenza di “sentinelle” dei trafficanti che individuano in anticipo negli orfanotrofi le ragazze che stanno per lasciare le strutture al compimento dei 18 anni, e mettendo in atto un adescamento su finte promesse d’amore e di un futuro felice in Italia.
I finti lover boy che sono affiancati ad ogni ragazza lungo tutto il periodo di sfruttamento in Italia, che può durare anni, ne controllano l’attività esercitando un controllo totale e violento, come nel caso, riportato dagli operatori, di una ragazza rimasta incinta indotta ad entrare in una vasca riempita di cubetti di ghiaccio per indurre l’aborto per shock termico.
Il sistema italiano di tutela delle vittime di tratta e grave sfruttamento, facente capo al Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DPO), che in questi mesi sta lavorando per tracciare il nuovo PNA valido per il triennio 2019-2021, pubblica bandi per l’individuazione di progetti, presentati da enti accreditati presso la seconda sezione del Registro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’ultimo bando, il 3/2018, ha previsto un finanziamento di 24 milioni per il triennio 2019-2021. Al DPO fa anche capo il Numero Verde Anti-Tratta (800 290 290), coordinato dal Comune di Venezia.
I progetti dedicati alle vittime di tratta lavorano lungo due direttrici. Da un lato, mirano a favorire l’aggancio, la fuoriuscita e la conseguente emersione della vittima e, dall’altro, lavorano sulla beneficiaria già fuoriuscita dalla condizione di sfruttamento per consentirle di rielaborare il trauma dell’esperienza e di avviare un percorso verso l’autonomia. Nel Rapporto sono state messe in luce diverse criticità che minano l’intervento di questi due filoni.
Rispetto alla fuoriuscita si segnala anzitutto la criticità collegata tipologia di permesso di soggiorno. E’ stata infatti registrata la tendenza diffusa tra diverse Questure, al contrario di quanto previsto dalla normativa, ad accettare la richiesta di rilascio del permesso di protezione sociale ex art. 18 solo previa denuncia da parte della vittime di tratta (cosiddetto “binario giudiziario”) piuttosto che su segnalazione diretta dell’ente anti-tratta (cosiddetto “binario sociale”). In secondo luogo è da rilevarsi una lacuna rispetto alle modalità operative finalizzate alla presa in carico delle vittime, a causa dell’assenza di protocolli di collaborazione per l’identificazione delle potenziali vittime di tratta, della mancata partecipazione di referenti delle comunità per minori (o dell’ente che gestisce la comunità) a incontri di rete locali, nonché dell’assenza di incontri di formazione multi agenzia sugli indicatori per identificare le potenziali vittime di tratta, anche minorenni. In terzo luogo è stata riportata la criticità legata alla sovrapposizione dei sistemi tratta e asilo, essendo tante le vittime di tratta che richiedono la protezione internazionale, per cui sarebbe opportuno proceduralizzare la collaborazione tra gli enti anti-tratta, le comunità d’accoglienza le Commissioni territoriali. A queste criticità, afferenti al quadro istituzionale e normativo, se ne aggiungo altre riguardanti l’azione della rete criminale, che sperimenta modalità più invisibili di sfruttamento, con frequenti trasferimenti delle vittime di città di in città, e all’intervento operativo. Le attività di outreach richiedono infatti tempistiche molto lunghe per ottenere dei risultati efficaci in termini di fuoriuscita della vittima, anche di diversi mesi, ed alcuni servizi, come quello degli accompagnamenti sanitari, sono spesso resi difficili dalle resistenze riscontrate dagli operatori nei diversi presidi sanitari e dai diversi iter burocratici necessari per ottenere il rilascio dei codici STP (Straniero Temporaneamente Presente), per le ragazze nigeriane, ed ENI (Europeo Non Iscritto), per quanto riguarda il target dell’Est Europa.
Per quanto riguarda i programmi di inclusione e integrazione, anche in questo caso una prima criticità riguarda il permesso di soggiorno per protezione sociale ex art. 18, la cui durata (di 6 mesi, rinnovabile per altri 12) non appare compatibile con i tempi necessari a completare un percorso di inclusione e integrazione di impatto. Quest’ultimo non solo deve garantire l’acquisizione delle competenze, le sessioni di formazione e le opportunità di inserimento lavorativo, ma preventivamente deve essere atto a rielaborare efficacemente il trauma psico-fisico subito dalla ragazza durante lo sfruttamento. I percorsi di inclusione e integrazione, per essere efficaci, dovrebbero inoltre essere tarati sulla singola persona: piuttosto che offrire percorsi standardizzati, quali quelli proposti dai Centri Territoriali Permanenti, risulta necessario favorire l’empowerment di tutte le beneficiarie, lavorando sulle rispettive capacità e competenze, nonché sulle proprie aspirazioni personali. Queste aspirazioni devono chiaramente incontrare un’offerta di mercato. Per tale ragione è fondamentale che gli enti anti-tratta costruiscano reti multi-agenzia a livello locale, anche tramite la conclusione di protocolli e convenzioni con le organizzazioni di categoria e le imprese, in modo tale da consentire alla beneficiaria la sicurezza di uno sbocco occupazionale che prevenga la mancanza di opportunità lavorative e, di conseguenza, il rischio di reinserimento in strada (cosiddetta vittimizzazione secondaria o ri-vittimizzazione).
E’ evidente che il fenomeno della tratta e del grave sfruttamento di esseri umani, in particolare di minori, rappresenti una sfida più che attuale per le autorità italiane. Intercettare e intervenire sulle criticità rappresenta la sfida che gli enti anti-tratta e i principali stakeholder affrontano ogni giorno.
Tuttavia, per garantire un sistema in grado di agire efficacemente nel contrasto del fenomeno, superando le criticità indentificate, le autorità competenti dovrebbero facilitare l’azione di chi opera a supporto e assistenza delle vittime o potenziali tali.
Da tale punto di vista, il Gruppo di Esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani (GRETA), a seguito della missione di valutazione in Italia sull’implementazione della relativa Convenzione svolta nel 2018, ha rivolto una serie di raccomandazioni al Governo italiano per dare evidenza delle attuali lacune. Tra le altre, GRETA ha espresso preoccupazione per l’adozione del D.L. 113/2018 (cosiddetto Decreto Sicurezza), convertito in Legge 132/2018, poiché le previsioni potrebbero avere delle ricadute sulle vittime di tratta. Anzitutto con il Decreto è stata abolita la protezione per motivi umanitari. Questo permesso è stato ampiamente riconosciuto alle vittime di tratta in virtù dei continui abusi e violenze subite durante il viaggio verso il nostro Paese. Pertanto, la protezione per motivi umanitari, pur non essendo una forma di protezione specifica per le vittime di tratta, rappresentava un modo per ottenere comunque una forma di protezione valida e moltissime ragazze che vivono in Italia con il permesso di soggiorno legato a questo tipo di protezione rischiano ora, sulla base delle nuove disposizioni, di non poterlo rinnovare. Un ulteriore aspetto su cui andrebbe a impattare il Decreto Sicurezza è quello relativo alla tipologia di accoglienza e all0’individuazione delle potenziali vittime di tratta. Con la novella normativa, le richiedenti protezione internazionale non hanno più la possibilità di entrare nel circuito di accoglienza SIPROIMI. E sono accolte nei centri di accoglienza straordinaria (CAS).
Nei CAS è difficile che gli operatori riescano a cogliere i segnali di disagio che spesso le vittime o le potenziali vittime mostrano, rendendo di fatto molto più difficile l’emersione dei casi. Infine, una terza criticità che andrebbe a ricadere fortemente sulle vittime di tratta è quella l’iscrizione anagrafica e l’accesso ai servizi. Il Decreto Sicurezza ha infatti disposto che chi oggi possiede il permesso di soggiorno come richiedente asilo non può procedere all’iscrizione anagrafica. Sebbene l’accesso ai servizi, come l’iscrizione sanitaria, ai sensi del Decreto, sia assicurato nel luogo del domicilio, alcune ASL continuano a richiederla, ostacolando l’accesso dei richiedenti asilo, anche quando potenziali vittime di tratta, al servizio in questione, ciò pregiudicando il loro stato di salute.
Leave A Comment