Nel caso di una insegnante francese che ha lavorato nel Regno Unito, la Corte di Giustizia ha dichiarato che, in qualità di cittadina dell’Unione Europea, ha diritto alle prestazioni di assistenza sociale con parità rispetto alle mamme lavoratrici inglesi (caso C‑507/12 Jessy Saint Prix contro Secretary of State for Work and Pensions del Regno Unito).

Infatti i cittadini dell’UE mantengono lo status di lavoratore, e quindi il diritto alle prestazioni, se hanno lavorato in precedenza nello Stato membro in cui risiedono. 
La direttiva sul diritto al soggiorno dei cittadini dell’Unione stabilisce che una persona conserva la qualità di lavoratore se è temporaneamente inabile al lavoro a causa di malattia o infortunio, o in stato di disoccupazione involontaria (a determinate condizioni) o se sta facendo un percorso di formazione professionale, che deve essere legata alla loro prima occupazione (articolo 7 della direttiva 2004/38/EC).
Tuttavia, la possibilità di mantenere lo stato di lavoratore non è illimitata.  E’ subordinata al ritorno al lavoro o  a trovare un altro lavoro entro un termine ragionevole dopo il parto. Come determinare tale ‘termine ragionevole’? 
La CGUE ha chiarito che bisogna tener conto delle circostanze specifiche del caso concreto, nonché della legislazione nazionale sulla durata del congedo di maternità, in conformità con la direttiva UE sulle garanzie per le lavoratrici gestanti (n. 1992/85/EC).
Tale direttiva prevede un periodo minimo di congedo 14 settimane, almeno due settimane prima del parto. Tuttavia, il diritto nazionale può fissare periodi più lunghi.