Si ha discriminazione quando una persona riceve un trattamento sfavorevole rispetto a quello che hanno ricevuto o che potrebbero ricevere altre persone nella stessa situazione.

Nell’ordinamento italiano e sovranazionale esiste un principio di non discriminazione a tutela di un eguale e libero accesso per tutti gli individui alle stesse opportunità e agli stessi mezzi offerti dalla società (ad es. nel mondo del lavoro, della scuola, delle prestazioni sociali o assistenziali).

Questo principio significa sostanzialmente che le persone che si trovano in situazioni analoghe dovrebbero ricevere un trattamento simile e non possono essere trattate in modo meno favorevole semplicemente a causa di una particolare caratteristica che possiedono o di una appartenenza ad un determinato gruppo (ad es. sociale o culturale). Mentre non si ha discriminazione quando il trattamento differente è ragionevole e giustificato dalla presenza di elementi distintivi: secondo il principio di uguaglianza la legge deve disciplinare in modo eguale situazioni eguali ed in modo diverso situazioni diverse.

Per questo il motivo di un trattamento differenziato è molto importante.

Ad esempio: escludere una persona dall’iscrizione a un corso di informatica avanzata perché è straniera è una discriminazione diretta. Non lo è, invece, escludere una persona dallo stesso corso perché è stato verificato che non ha le conoscenze di base per seguire il programma.

E’ vietato discriminare in base ai seguenti motivi:

  • sesso della persona
  • razza o origine etnica
  • lingua
  • religione o altre convinzioni legate al fenomeno religioso (es. ateismo)
  • opinioni politiche
  • condizioni personali o sociali (ad es. per ragioni di età, disabilità, condizioni economiche)

La discriminazione può essere posta in essere non soltanto da un individuo, ma anche da parte di un ente privato o pubblico (in questo caso di parla di discriminazione istituzionale).

Divieti specifici alla discriminazione, per i motivi indicati, sono previsti a livello internazionale, dal diritto dell’Unione Europea e dalla legge italiana.

Con particolare riferimento ai diritti dei minori, la Convenzione sui diritti dell’infanzia prevede all’art. 2 il divieto di discriminazione sancendo che:

Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza.

Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.”

Un divieto generale di discriminazione è previsto dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (articolo 14).

Si può avere una tutela contro la discriminazione quando la legge prevede un divieto, in base al motivo del trattamento differenziato. In particolare, nel nostro ordinamento sono previsti degli strumenti specifici per poter agire davanti ad un giudice e denunciare la discriminazione subita, irrogando sanzioni nei confronti degli autori ed eventualmente riconoscendo il risarcimento del danno patito. L’intento è quello di offrire rimedi efficaci nei confronti delle vittime e sanzioni dissuasive nei confronti degli autori.

Ad esempio: ai sensi dell’art. 44 del Testo Unico Immigrazione è possibile esperire l’azione civile antidiscriminazione quale rimedio processuale a disposizione delle vittime di discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi. In questo caso, è possibile richiedere al giudice non soltanto di ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio pregiudizievole, ma anche la rimozione degli effetti della discriminazione.