Gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire sempre il superiore interesse del minore, senza possibilità di operare automatismi basati sull’età
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in data 14 gennaio 2021, ha pubblicato la sentenza relativa alla causa C-441/19, fissando alcuni principi chiave in materia di rimpatrio dei minori non accompagnati.
Il caso da cui trae origine la pronuncia riguarda la decisione di rimpatrio di T., minore non accompagnato, da parte dei Paesi Bassi. Il minore, nel giugno 2017, aveva presentato domanda di asilo, dichiarando di essere nato in Guinea, ma di essersi recato a vivere, sin da quando era molto piccolo, in Sierra Leone insieme a una zia. Alla morte della zia, era entrato in contatto con un signore nigeriano che lo aveva condotto in Europa. Ad Amsterdam era rimasto vittima di tratta di esseri umani e sfruttamento sessuale, che gli hanno indotto disturbi di tipo psicologico. L’autorità olandese, chiamata a pronunciarsi sul caso, riteneva di non poter concedere la protezione internazionale né di poter concedere un permesso di soggiorno a tempo determinato. La legislazione olandese, infatti, in assenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, prevede la possibilità di concedere un permesso di soggiorno a tempo determinato ai minori infra quindicenni, laddove sia accertato che nel Paese di origine non siano garantite condizioni di accoglienza adeguate. T., che, all’epoca della domanda aveva da quattro mesi compiuto i quindici anni, non rientrava in tale ipotesi e dunque il diniego della protezione internazionale comportava automaticamente una decisione di rimpatrio. Il rimpatrio veniva temporaneamente sospeso in attesa degli accertamenti sullo stato di salute del minore, mentre non veniva effettuato alcun accertamento circa la situazione nel Paese di origine.
Il minore presentava ricorso, con cui rimarcava la completa assenza di legami con la Guinea, di cui non conosce neppure la lingua, e faceva presente di non sapere nemmeno se fossero ancora in vita i genitori o altri familiari, che comunque non sarebbe stato in grado di riconoscere. Dichiarava inoltre di considerare la famiglia affidataria in Olanda come la sua unica famiglia. Emergeva anche che, a seguito dei colloqui volti a prepararlo al rimpatrio, i disturbi psicologici del minore si erano ulteriormente aggravati. Il giudice olandese, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della decisione di rimpatrio, decideva di rinviare la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia, per una verifica della conformità della disciplina olandese alla normativa europea in materia di rimpatri di minori non accompagnati.
La Corte UE, nella sua decisione, ha stabilito alcuni principi importanti, vincolanti per tutti gli Stati membri. Innanzitutto ha affermato che lo Stato che intenda adottare una decisione di rimpatrio di un minore non accompagnato deve, in tutte le fasi della procedura, prendere necessariamente in considerazione l’interesse superiore del minore. A tal riguardo, nessuna decisione di rimpatrio di un minore non accompagnato può prescindere da una valutazione della situazione del minore che tenga in considerazione diversi elementi quali l’età, il sesso, la particolare vulnerabilità, lo stato di salute fisico e mentale, il collocamento in una famiglia di affidamento, il livello di scolarizzazione e il suo ambiente sociale. Inoltre, lo Stato membro è sempre tenuto a verificare che il minore sarà ricondotto a un membro della sua famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza nel Paese di origine.
La Corte precisa che l’età possa essere presa in considerazione nella valutazione del superiore interesse del minore e dell’adeguatezza delle condizioni di accoglienza, ma non può mai essere il criterio decisivo e automatico per prescindere dagli obblighi di verifica imposti dalla disciplina europea: gli Stati membri sono tenuti a una valutazione caso per caso, generale e approfondita, della situazione del minore interessato.
La sentenza chiarisce infine che, nell’adottare decisioni in linea con il superiore interesse del minore, si devono tenere in considerazione il diritto all’educazione e alla frequenza scolastica, l’importanza del legame con una famiglia affidataria e la necessità di evitare situazioni di incertezza con riferimento allo status giuridico e al futuro del minore interessato.
In Italia, la legge n. 47/2017 in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, stabilisce espressamente il divieto di respingimento e di espulsione dei minori non accompagnati, a cui viene garantito il diritto a soggiornare regolarmente sul territorio. Il rimpatrio volontario e assistito può essere adottato, da parte del Tribunale per i Minorenni, solo nel caso in cui il ricongiungimento con i familiari nel Paese di origine o in un Paese terzo, corrisponda al superiore interesse del minore, tenuto conto dei risultati delle indagini familiari e della situazione del minore in Italia. Nondimeno, la sentenza della Corte UE rappresenta un monito importante rispetto alla centralità e alla portata del principio del superiore interesse del bambino, in tutte le decisioni riguardanti i minori non accompagnati. Tali decisioni non possono mai essere prese solo sulla base di criteri formali, ma devono essere oggetto di un’indagine approfondita di tutti gli elementi in cui si estrinseca la personalità del minore.
Giulia Pelizzo, legale di CivicoZero Milano
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