Testimonianza di una studentessa universitaria sull’’esperienza delle cliniche legali e della collaborazione con Save the Children.
Arriva nella vita di ogni studente il momento in cui occorre “agire”, quel frangente in cui si devono accantonare (momentaneamente) i libri per lasciare spazio al mondo lavorativo, in cui alla teoria deve subentrare la “pratica”, il tempo in cui si teme di sbagliare, di compiere scelte errate e ci si sente intimoriti, catapultati in una realtà oltremodo complessa e difficile da gestire.
Credo che l’esperienza della clinica legale sia una sorta di antidoto a quel tipo di paura.
Non la cancella, ma in qualche misura la attutisce, quasi la esorcizza.
Chi ha 25 anni, come chi scrive, quella sensazione la conosce bene.
Con lo studio si acquisisce un bagaglio di nozioni e conoscenze, ma alla prova dei fatti ci si chiede come tutto ciò possa essere applicato sul campo.
È difficile spiegare in poche righe cosa siano le cliniche legali e quanto per me questa esperienza sia stata formativa, soprattutto grazie anche alla collaborazione con Save the Children.
Sintetizzerei l’opportunità con questa frase: “Learning by doing”, imparare facendo.
É questa la finalità delle cliniche legali: consentire agli studenti universitari di mettere in pratica, in un ambiente “protetto”, quanto studiato.
Noi giovani universitari studiamo la teoria, la apprendiamo da complessi manuali che accompagnano i nostri anni di studio ma, citando Artistotele, “la teoria senza la pratica è cieca”, così come però è vero anche il contrario.
È stata proprio l’idea di poter sperimentare quanto appreso che mi ha portato, durante il mio primo anno del corso di laurea magistrale in “European Legal Studies”, a partecipare alla clinica legale “Famiglia, minori e diritto” organizzata dal dipartimento di Giurisprudenza di Torino, che da anni ha instaurato una proficua collaborazione con Save the Children.
Le attività cliniche proposte consistevano in lezioni teoriche riguardanti il diritto minorile e di famiglia e in opportunità pratiche sul campo; personalmente ho avuto la possibilità di assistere il consulente legale durante le attività di orientamento legale presso lo sportello dello Spazio Mamme di Torino e di partecipare alle iniziative di divulgazione giuridica organizzate presso il centro diurno per minori stranieri non accompagnati CivicoZero.
L’esperienza ha avuto per me un valore rilevante, sia dal punto di vista formativo e professionale, che di crescita personale.
Confrontarsi dal vivo con persone che chiedono un consulto, non è sempre facile, soprattutto quando si deve prendere atto che la soluzione al problema non la si trova dettagliata in un capitolo dei manuali studiati.
Le attività sul campo mi sono servite a rendermi consapevole della mia impreparazione. É un paradosso che può far sorridere, ma per me è stato prezioso scoprire come la pratica richieda una continua formazione.
Ricordo bene quel pomeriggio al centro CivicoZero, in cui con alcune colleghe avevamo presentato la figura del tutore volontario ad un gruppo di minori stranieri non accompagnati.
Credevamo di esserci preparate a dovere, avevamo studiato e ristudiato, avevamo stabilito i tempi di ogni intervento, ma durante l’attività abbiamo dovuto cambiare la nostra presentazione alla luce di alcuni aspetti, importanti, che non avevamo considerato.
Non eravamo più in un’aula universitaria dove era sufficiente “dimostrare di sapere”, ma ci trovavamo in un contesto in cui innanzitutto dovevamo farci capire da ragazzi stranieri, che a stento conoscevano l’italiano.
Quando l’obiettivo cambia, deve cambiare anche il linguaggio: il lessico giuridico ha dovuto cedere il passo a gesti, disegni, frasi in francese e a tratti in spagnolo.
Quel pomeriggio a CivicoZero è stata una lezione universitaria e di vita. Ha ragione chi dice che certe cose non le impari se non le vivi.
La clinica mi ha stimolata, aiutata a meglio capire quali fossero i miei interessi e ad approfondirli. Mi ha dato la possibilità di confrontarmi con miei coetanei e con professionisti del settore. Mi ha permesso di capire il valore della teoria e, al contempo, la possibilità di provare, di fare e anche di… sbagliare.
Mi ha consentito di apprendere alcune competenze che conservo preziosamente.
Ho sottolineato decine di manuali negli ultimi due anni di università e, dopo l’esperienza clinica mi sono resa conto di aver perso di vista, o forse solo momentaneamente smarrito, l’orizzonte… Quello vero!
Quel pomeriggio mi ha ricordato per chi e per cosa stessi studiando. È stato come se avessi finalmente trovato la ragione per dare un senso alle tante nozioni acquisite. Mi piace immaginare l’esperienza della clinica legale come una palestra per il futuro, la possibilità di “fare”, una grande opportunità educativa e formativa. Un’occasione per permettere agli studenti di assumere decisioni (per quanto piccole) ed iniziative pratiche.
Per queste ragioni, ritengo che la clinica legale sia un buon antidoto contro quella paura che si prova quando ci si sta per affacciare al mondo del lavoro.
Lucia Testa, studentessa dell’Università di Torino
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