Contenuti realizzati grazie al
contributo reso a titolo gratuito da Pierpaolo di Lorenzo, Raffaella
M. Lombardi e Mauro Moroni del team legale del Gruppo Telecom Italia,
nell’ambito di un’iniziativa pro bono per Save the Children

Il diritto di ascolto e il superiore
interesse del minore

Nella normativa italiana Italia e di
altri Paesi europei il ruolo del figlio è cambiato: non è più
solo oggetto di tutela bensì un soggetto portatore autonomo di
diritti.

L’interesse del figlio, specie se
minore, viene posto al centro del Diritto di Famiglia ed in questo
contesto assume una notevole rilevanza l’audizione del minore, come
strumento primario per aiutare il giudice ad individuare il suo
interesse.

In questo senso si esprime la Legge 10
dicembre 2012 n. 219 “Disposizioni in materia di riconoscimento di
figli naturali” che ha modificato la disciplina del rapporto fra
genitori e figli.

Il decreto legge del 28 dicembre 2013
n. 154 ha rivisto alcune delle disposizioni accentuando il carattere
di responsabilità del genitore.

Il concetto della Potestà genitoriale
deve essere riferito ai principi costituzionali espressi dall’art.
30 della Costituzione, dall’art. 147 del Codice Civile, solo in
minima parte innovato dal decreto 154/2013, ed infine dall’art. 315
e 318 del Codice Civile. La potestà genitoriale è

“… quel complesso di diritti e di
doveri, attribuito ai genitori dalla legge a tutela della prole
minorenne non emancipata, volti a favorire una crescita psico-fisica
sana ed armonica e ad attuare i doveri di istruzione, educazione e
mantenimento, sanciti sia a livello costituzionale che codicistico”.

Il diritto di
ascolto nei diversi processi civili


Le norme del processo civile che
disciplinano l’audizione del minore hanno finalità differenti.

Nell’ambito di una stessa tipologia
di procedimento civile –specie in materia di potestà- le
situazioni su cui viene ascoltato dall’Organo Giudicante il minore
possono avere un grado di gravità diversa.


Nei procedimenti di separazione dei genitori

La Legge n.54/2006 introdusse il
principio in base al quale il Giudice disponeva l’audizione del
figlio minore. Il minore in questo contesto processuale era
considerato a tutti gli effetti una parte in causa.

La legge 219/2012 ha introdotto nel
codice civile l’art. 315 bis il quale al 3° comma ha stabilito che
“il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici o anche di età
inferiore ove capace di discernimento2 ha diritto di essere ascoltato
in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.

La legge 219/12 ha introdotto nel
tessuto codicistico, in materia di filiazione, una norma (appunto
l’art. 315 bis c.c.) che riconosce una maggiore “centralità”
al ruolo del minore sia all’interno del processo, estendendo le
possibilità di ascolto del minore a tutti i procedimenti che lo
riguardano, sia nella relazione con i genitori, introducendo e, nel
contempo, rafforzando il concetto di “responsabilità genitoriale”.
E’ un principio di diritto europeo in forza dell’art. 24 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea:

““I bambini hanno diritto alla
protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono
esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in
considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della
loro età e della loro maturità”.

Il Trattato UE, (versione consolidata
dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona del 7 dicembre 2007,
pubbl. in G.U.U.E 09.05.2009 C 115) dopo aver affermato tra gli scopi
dell’Unione la tutela dei diritti del minore, all’art. 3
riconosce, facendo propri, i diritti, le libertà e i principi
sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
attribuendole lo stesso valore giuridico dei trattati. L’art. 24
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d.
Carta di Nizza) riafferma solennemente anche il principio della
obbligatorietà dell’ascolto del minore.

Nei processi di adozione

La legge prevede sia sempre nominato un
rappresentante legale del minore, tutore o curatore.

In alcune sedi il curatore, però,
svolge esclusivamente un ruolo processuale e non ha rapporti diretti
con il minore. Sul punto, sarebbe invece importante che al curatore
(e al tutore) venisse riconosciuto il potere–dovere di incontrare
il minore e di avere con lui un rapporto diretto (eventualmente alla
presenza degli operatori sociali, a seconda dell’età del bambino e
delle circostanze concrete), in modo da svolgere i propri compiti
nella fase che precede l’ascolto, conformemente a quanto previsto
dal primo comma dell’art. 10 della Convenzione europea
sull’esercizio dei diritti dei fanciulli di Strasburgo del 25
gennaio 2006, e di spiegare successivamente al minore le decisioni in
cui le sue opinioni e i suoi pareri non siano stati seguiti.

In genere l’audizione del minore, pur
non essendo atto istruttorio, è certamente un atto processuale che
si caratterizza per la sua qualità di costituire elemento del
processo di realizzazione della tutela giurisdizionale in quanto atto
coordinato all’esercizio della giurisdizione in materia di diritti
dei minori4. E’ soggetto al principio fondamentale in tema di forme
processuali che è quello della libertà di forma: se non sono
richieste forme determinate, gli atti debbono essere svolti in quella
più idonea al loro scopo. Quindi, per individuare la forma corretta
per l’audizione del minore, data la sua funzione di assicurare al
giudice l’acquisizione della di lui opinione – liberamente e
consapevolmente formatasi ed espressa – come uno degli elementi da
considerare necessariamente nella decisione, si deve fare riferimento
ai principi generali in tema di giurisdizione armonizzandoli con il
principio peculiare di ogni procedimento che abbia a oggetto i
diritti del minore: quindi contraddittorio e diritto di difesa,
terzietà del giudice debbono necessariamente contemperarsi nel caso
concreto con il principio del superiore interesse del minore che
costituisce criterio preminente di giudizio (Cass. 12739/2011, Cass.
7282/2010).

L’ascolto costituisce un diritto e
non un obbligo della persona minore di età. È invece obbligo dello
Stato far rispettare tale diritto, consentendogli di esprimere le sue
opinioni, libere da pressioni e consapevolmente formate per aver
ricevuto tutte le informazioni necessarie in ogni questione che
comunque riguardi la sua sfera di diritti e in cui la sua prospettiva
possa migliorare la qualità delle soluzioni.

I giudici della Corte di Cassazione riconoscono
il valore fondamentale del principio dell’ascolto del minore,
sancito dagli strumenti internazionali e recepiti nell’ordinamento
interno, per cui si deve procedere all’ascolto in tutti i casi in
cui una simile misura non arrechi danno al minore, salva l’ulteriore
precisazione per la quale si ritiene normalmente obbligatorio
procedere all’audizione solo nel giudizio di primo grado, con
possibilità di far valere la nullità della sentenza per la
violazione dell’obbligo di audizione nei limiti e secondo le regole
fissate dall’art. 161 c.p.c., e, dunque, mediante proposizione
dell’appello.

Con la sentenza n. 22238 del 2009, la
Suprema Corte a Sezione Unite ha affermato per la prima volta che il
mancato ascolto del minore nei suddetti procedimenti determina la
nullità insanabile e rilevabile d’ufficio
del provvedimento
impugnato per violazione dei principi del contraddittorio e del
giusto processo, salvo che l’omesso ascolto sia giustificabile per
l’assenza di una sufficiente capacità di discernimento oppure per
la manifesta e motivata contrarietà dell’ascolto stesso al
preminente interesse del minore.

Un caso particolare: il dovere di
informare il minore di essere adottato.

I genitori hanno il dovere di informare
il minore del proprio stato di adottato. Lo prevede la legge sul
diritto del minore ad una famiglia (artciolo 28 della Legge 4 maggio
1983 n.184).

I giudici hanno più volte affermato
l’importanza di informare il minore sulla propria condizione di
essere stato adottato. La giurisprudenza ha più volte sottolineato
che la conoscenza delle proprie radici costituisce un presupposto
indefettibile per la costruzione della persona dell’adottato e che
la sua mancanza potrebbe creare dei drammi interiori e condurre ad
una idealizzazione dei genitori biologici (oltre ad essere un momento
di contatto per i genitori adottandi con le vicende che hanno
preceduto e accompagnato l’adozione).

Il legislatore ha ritenuto fondamentale
disciplinare l’accesso alle informazioni dei genitori biologici,
riconoscendo, unicamente ai figli adottivi, la possibilità di
ricercare i genitori naturali e non diversamente ai genitori naturali
di rintracciare il figlio adottivo. Tali modalità di ricerca sono
disciplinati dalla legge in relazione all’età dell’adottato e
pertanto gli Enti pubblici preposti (l’Ufficiale di stato civile,
l’Ufficiale di anagrafe) hanno l’obbligo di ricercare e
conservare la documentazione dell’adottato e, se richiesto, fornire
tutte le informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali
risulti il rapporto di adozione ma solo con una autorizzazione
espressa dell’Autorità Giudiziaria per materia e per territorio
competente. Infatti l’autorizzazione deve essere richiesta al
Tribunale per i minorenni e la divulgazione di tali informazioni,
senza la debita autorizzazione, costituisce una violazione penale ai
sensi dell’art. 73 della Legge n. 184/1983. Solo al compimento
dell’età di 25 anni del figlio adottato, presunto il
raggiungimento della completa maturità personale, il suddetto potrà
accedere a tali informazioni sempre presentando debita istanza (“Il
minore adottato e le informazioni sulla famiglia di origine” –
fonte: www.miolegale.it
).

Regole per il buon ascolto del
minore

Nel processo, ed in particolare in
quello civile, è fondamentale procedere all’ascolto del minore.
Questo ha prima di tutto luogo nella famiglia, luogo privilegiato per
il sereno e armonioso sviluppo della personalità. I genitori
assolvono i compiti di mantenimento, istruzione ed educazione
“tenendo conto della capacità, dell’inclinazione e delle
aspirazioni dei figli” e, pertanto, devono prestare attenzione alla
loro voce.

La potestà genitoriale, nell’attuale
contesto culturale e giuridico del nostro paese, si qualifica
innanzitutto come responsabilità di entrambi i genitori
nell’assistere i figli a raggiungere l’autonomia di pensiero in un
processo di graduale autodeterminazione dinamica.

Quindi è più che mai fondamentale
acquisire abilità di ascolto del minore da parte di tutti coloro che
entrino in contatto con un minore come i genitori naturali e non,
giudici, assistenti sociali, psicologi una serie di elementi
interattivi e osservativi in chi si dispone a ascoltare un minore.
Possiamo indicare a tale fine le condizioni condizioni organizzative
necessarie, a mente de “L’Alfabeto della relazione con il minore”
del procuratore Piercarlo Pazè (2003):

1. in primis, la consapevolezza che si ha
dinanzi un soggetto che necessita di cura;

2. il minore deve essere informato
(preferibilmente dai genitori o dal suo curatore/tutore) in
precedenza dell’incontro con il giudice e delle condizioni del suo
svolgimento;

3. il minore non deve subire, quando
convocato, lunghe attese. Bisogna in tal senso rispettare orari e
tempi che non devono essere troppo prolissi in relazione alle sue
capacità attentive, che non sono di lunga tenuta;

4. il minore non deve essere incontrato in
luoghi spersonalizzati o a lui non adatti (in quanto spesso o troppo
affollati o al contrario desolati);

5. il minore deve essere messo a proprio
agio, pertanto è necessario lavorare accuratamente sulla sua
accoglienza. Il giudice deve presentarsi puntualmente e adeguatamente
nonché informarlo sulle motivazioni per cui ha richiesto l’incontro;

6. il minore dovrebbe interagire con un
unico interlocutore, che possa essere chiaramente identificato
(giudice o suo delegato) e che possibilmente rimanga suo referente
nel tempo;

7. il minore non deve essere ingannato in
relazione alla possibilità che il giudice possa mantenere il segreto
sul suo ascolto, in quanto parte integrante del giudizio;

8. il minore deve avere spazio/tempo per
potere raccontare, e in tal senso il giudice deve mettersi in una
posizione di “ascolto attivo” e formulare le sue domande solo
dopo aver instaurato con lui un rapporto fiduciario;

9. il minore deve essere approcciato
attraverso un linguaggio semplice e il più possibile adeguato alla
sua età, evitando termini giuridici/psicologici da parte di chi lo
ascolta che creano distanza;

10. il minore non va in alcun modo
pressato, ossia non bisogna tentare di far dire al bambino qualcosa
che possa confermare ciò che chi ascolta già crede, conosce, o
desidera;

11. al minore deve essere spiegato,
preferibilmente da chi lo ha sentito, alla fine del suo ascolto il
significato che ha avuto l’incontro e, per quanto possibile, che la
natura e il contenuto delle decisioni che lo riguarderanno terranno
conto di quanto da lui detto ma potranno essere diverse;

Infine è consigliabile che l’ascolto
del minore non avvenga in presenza di un “pubblico”, anche se
pertinente con il contesto (avvocati, consulenti di parte, psicologi,
operatori dei servizi sociali, ecc.). Gli interlocutori del minore
devono conoscere bene gli atti dimostrando anche in questo modo un
alto grado di attenzione nei suoi confronti.

Si osserva che queste regole non
cambiano se al posto del Giudice si sostituisce il ruolo del padre,
della madre, di un maestro e poi di un professore. Pur trattandosi di
ambiti relazionali con il minore meno istituzionali di una sede
giudiziale, essi sono sempre importanti per la sua esistenza e
crescita.

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