1. Cos’è la cittadinanza europea e quali
norme la prevedono?


2. Approfondimento


3. I diritti connessi alla cittadinanza
europea in dettaglio


Contenuti realizzati grazie al
contributo reso a titolo gratuito da Nicoletta Giacomini, Domenico
Salvatore, Antonio Santangeli e Roberta Ziveri del team legale del
Gruppo Telecom Italia, nell’ambito di un’iniziativa pro bono per
Save the Children Italia
.

1. Cos’è la cittadinanza europea e quali
norme la prevedono?

Il Trattato di Maastricht, siglato il 7
febbraio 1992, riconosce la cittadinanza europea ad ogni persona
avente la nazionalità di uno Stato membro (art.8.1, comma 1),
attribuendo anche diritti politici: permette di circolare e risiedere
liberamente nei paesi dell’Unione; garantisce protezione all’estero
da parte delle ambasciate e dei consolati di qualsiasi Stato membro;
consente di votare ed essere eletto nello Stato in cui si risiede per
le elezioni europee e comunali; supportare petizioni e reclami
dinanzi al Parlamento europeo e presso il Mediatore Europeo riguardo
casi di cattivo funzionamento dell’amministrazione comunitaria. Il
trattato di Maastricht dunque rafforza i principi di libertà, di
democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà
fondamentali e dello Stato di diritto. Esso rappresenta soprattutto
un messaggio politico degli Stati membri dell’Unione rivolto ai
cittadini europei e finalizzato a riaffermare i diritti fondamentali,
che sono alla base delle costituzioni europee.

Il I° maggio 1999 è entrato in vigore
il Trattato di Amsterdam, che definisce i poteri concessi dagli Stati
Nazionali alle Istituzioni europee e afferma i principi di libertà,
di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo, ampliando l’elenco
dei diritti sociali di cui garantisce il rispetto in tutti i paesi
dell’Unione europea e proibendo ogni tipo di discriminazione. Il
Trattato sancisce il passaggio alla cittadinanza pluridimensionale,
così che la cittadinanza dell’Unione completa la cittadinanza
degli stati membri a seconda della sfera dei diritti di volta in
volta esercitati (diritti politici a dimensione locale, diritti
politici a dimensione nazionale e sopranazionale).

Quindi, pur rimanendo forte il concetto
di cittadinanza come appartenenza allo Stato, i diritti fondamentali
diventano indipendenti da questa nozione e sono riconosciuti sia ai
cittadini sia agli stranieri. La cittadinanza dunque potrà esprimere
appartenenza, identità e partecipazione in forma diverse ma
reciprocamente complementari.

2. Approfondimento

L’istituzione di una cittadinanza
dell’Unione rappresenta una delle più importanti innovazioni
introdotte dal Trattato sottoscritto a Maastricht il 7 febbraio 1992
(il “Trattato”).

La parte seconda del Trattato,
espressamente dedicata alla “Cittadinanza dell’Unione”, è
collocata immediatamente dopo i principi e prima delle politiche
della Comunità, ciò ne denota la rilevanza generale nell’impianto
del Trattato.

Il secondo paragrafo dell’art. 17 del
Trattato rinvia, per il contenuto della disciplina positiva della
cittadinanza dell’Unione, ai diritti ed ai doveri previsti dal
Trattato, lasciando supporre che la disciplina sia da ricercarsi in
norme appartenenti al diritto comunitario in senso proprio.

Peraltro, oltre all’evidente rilievo
che, allo stato attuale del diritto positivo, Unione e Comunità non
sono nozioni perfettamente sovrapponibili, neppure può dirsi che la
disciplina della cittadinanza dell’Unione sia contenuta
esclusivamente in norme comunitarie, sì che la specificazione
“dell’Unione” possa ridursi ad un’imprecisione ovvero ad
un’aspirazione non accolta dal diritto positivo.

In effetti, sono proprio le norme
dell’Unione a collocare la cittadinanza, poi disciplinata dalle
norme della Comunità, in un quadro di più ampio respiro,
chiarendone la natura di strumento finalizzato a “rafforzare la
tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati
membri” (art. 2, TUE) e identificandola anzi come una delle
motivazioni che hanno mosso gli Stati a concludere il trattato
istitutivo dell’Unione. Quindi, appare condivisibile il rilievo
secondo il quale ragioni di sistematicità e di coerenza avrebbero
voluto una cittadinanza dell’Unione, disciplinata da norme
dell’Unione, e collocata nelle “Disposizioni comuni” al
trattato sull’Unione europea ed ai trattati comunitari (Titolo I
del TUE, artt. 1-7), non diversamente da quanto è accaduto per i
diritti fondamentali che l’art. 6 TUE ha consacrato nel diritto
scritto dell’Unione, cristallizzando un’ormai consolidata prassi
giurisprudenziale elaborata dalla Corte di giustizia nell’ambito
del diritto comunitario.

Sotto altro profilo, peraltro, la
limitata competenza della Corte di giustizia nell’ambito del
Trattato dell’Unione, avrebbe fortemente ridotto le garanzie
giurisdizionali dei diritti connessi allo status di cittadino
dell’Unione, che, al contrario, sono così assicurate in misura
equivalente a quella di ogni altra posizione soggettiva di
derivazione comunitaria.

La cittadinanza dell’Unione
identifica uno status con riferimento alle sole persone fisiche,
restando escluse le persone giuridiche, le quali pure sono
destinatarie di libertà fondamentali, previste dal Trattato
sull’Unione (libertà di stabilimento, libertà di prestazione di
servizi).

Il Trattato che istituisce la Comunità
Europea attraverso il suo art. 17 dispone: “E’ istituita una
cittadinanza dell’Unione. E’ cittadino dell’Unione chiunque
abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza
dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale
e non sostituisce quest’ultima. I cittadini dell’Unione godono
dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente
trattato”.

Da tale norma si evince che
l’attribuzione della cittadinanza dell’Unione viene fatta
dipendere dal possesso della cittadinanza di uno Stato membro,
restando irrilevante qualsiasi ulteriore presupposto.

Ne consegue che l’acquisto (o la
perdita) della cittadinanza di uno degli Stati membri dell’Unione
comporta automaticamente l’attribuzione (o il venir meno) della
cittadinanza dell’Unione. Il carattere spiccatamente ancillare
della cittadinanza dell’Unione rispetto a quella nazionale è
evidenziato proprio da tale articolo, in seguito alla sua modifica
operata attraverso il Trattato di Amsterdam.

Con disposizione del tutto pleonastica
la norma dispone che “la cittadinanza dell’Unione costituisce un
complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce
quest’ultima. Pertanto, è stato fin da subito rilevato come non si
tratti di nozione “autonoma”, bensì rimessa alla discrezionalità
di ciascuno Stato membro, sì che l’identificazione della sfera dei
destinatari delle posizioni soggettive che in quella nozione sono
ricomprese dipende dai singoli ordinamenti nazionali. L’introduzione
di una cittadinanza dell’Unione non ha pertanto intaccato
l’esclusiva competenza degli Stati a definire l’area dei propri
cittadini. In linea generale, l’introduzione della cittadinanza
dell’Unione non comporta, dunque, l’ampliamento delle categorie
di beneficiari dei diritti di derivazione comunitaria. Può
osservarsi come alcuni diritti, espressamente connessi allo status di
cittadino dell’Unione (cfr. art. 21 CE), vengano in realtà
riconosciuti a chiunque “risieda” nell’Unione (cfr. artt. 194 e
195 CE), restando irrilevante il possesso della cittadinanza di uno
Stato membro. L’incongruenza può forse essere il segno di una
tendenza delle norme comunitarie ad individuare i propri “naturali”
destinatari non tanto nei titolari di uno status civitatis comunque
definito, quanto piuttosto nei residenti in uno Stato membro, a
prescindere dalla loro cittadinanza, favorendo per questa via
l’integrazione fra gli Stati medesimi.

Va rilevato come già in precedenza i
fruitori di rilevanti libertà comunitarie venissero individuati nei
“residenti” negli Stati membri oltre che nei cittadini dei
medesimi.

Risultano evidenti i tratti distintivi
della cittadinanza dell’Unione rispetto all’omologo istituto
rilevante per l’ordinamento interno statuale e per quello
internazionale, quale che sia la nozione di cittadinanza che si
voglia accogliere; a) condizione giuridica di chi fa parte di uno
Stato o comunque di coloro che nello Stato sono titolari di
particolari diritti ed obblighi ovvero, svalutando il nesso con
l’entità statuale, b) status di coloro che appartengono ad una
comunità politica in senso lato.

Innanzitutto alla Comunità, e ancor
più marcatamente all’Unione, difettano i caratteri fondamentali
della comunità politica o dell’entità statuale come tale dotata
di competenze generali. Poi, il nucleo fondamentale dei diritti che
il trattato riconosce come propri del cittadino dell’Unione si
risolve in un insieme di posizioni soggettive, di diritti speciali,
riconosciuti ai cittadini degli Stati membri (ma non solo ad essi),
ma che della cittadinanza non esprimono la dimensione di soggezione
dell’individuo allo Stato, né il correlato aspetto partecipativo
che si manifesta attraverso l’esercizio di diritti caratterizzanti
la contribuzione dell’individuo alla vita politica dello Stato.

In dottrina, la non riconducibilità
della cittadinanza dell’Unione alla cittadinanza in senso
tecnico-giuridico è concordemente evidenziata, anche in
considerazione del fatto che le posizioni soggettive conferite al
cittadino comunitario si risolvono, quasi esclusivamente, in pretese
giuridicamente tutelate non nei confronti dell’Unione, bensì degli
Stati membri diversi da quello di cui si è cittadini, mostrando come
l’obiettivo ultimo sia ancora l’integrazione dello straniero
(comunitario) nello Stato membro in cui risiede.

Il Trattato CE ha rinunciato a
disciplinare i modi di acquisto e di perdita della cittadinanza
dell’Unione, interamente rimettendosi alle vicende della singola
cittadinanza nazionale destinata di volta in volta a venire in
rilievo e, quindi, alle varie legislazioni nazionali. Tale scelta ha
condotto la dottrina a parlare di “cittadinanza duale” nel senso
di due distinti status inscindibilmente connessi ovvero di
“cittadinanza complementare” che soltanto si somma alla
cittadinanza nazionale, senza sovrapporsi o sostituirsi ad essa.

A tal riguardo assume un particolare
rilievo la sentenza della Corte di Giustizia del 2 marzo 2010 (caso
Rottman) che esclude che si possa essere cittadini europei senza
essere cittadini di uno Stato membro, stabilendo in sintesi che: i)
la cittadinanza europea dipende necessariamente da quella nazionale,
per cui il venir meno della seconda comporta necessariamente la
perdita della prima; ii) in materia di nazionalità, la competenza
statale è esclusiva; iii) quando però – ed è questa la novità –
le decisioni delle autorità nazionali incidono sulla condizione di
cittadino europeo (come nel caso  del signor Rottmann), le
decisioni devono essere assunte nel rispetto del diritto dell’Unione
e dei suoi principi generali, tra i quali rientra il principio di
proporzionalità.

Questo significa che spetterà ai
giudici nazionali verificare se le decisioni statali di revoca (ed
eventualmente di diniego) della nazionalità sono proporzionali, cioè
adeguate e necessarie rispetto al fine perseguito: salvaguardare il
vincolo di lealtà tra il cittadino e lo Stato di appartenenza.

3. I diritti connessi alla cittadinanza
europea in dettaglio

La cittadinanza dell’UE prevede per i
cittadini degli Stati membri i seguenti diritti:

1. Diritto di libera circolazione, art.
18: la capacità di potersi muovere all’interno dell’intero
“spazio europeo” senza incontrare ostacoli (quali barriere
doganali).

Questo diritto si fonda sulla necessità
di eliminare qualsiasi discriminazione sulla base della propria
nazionalità e nasce storicamente dai diritti economici legati alla
realizzazione del mercato unico. A questo diritto è strettamente
legato quello di residenza, ossia potersi trasferire a vivere
stabilmente in uno qualsiasi degli Stati membri. La normativa
comunitaria dispone la libera circolazione e di soggiorno dei
cittadini dell’Unione, tuttavia questa resta limitata dalle
disposizione previste nel Trattato CE e dalla loro disposizioni
applicative. Queste limitazioni si concretizzano in “motivi di
ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica”, di
conseguenza le autorità nazionali che vedessero turbati detti
interessi generali potrebbero disporre l’espulsione dello straniero
cittadino membro UE dal territorio nazionale;

2. Diritto di elettorato attivo e
passivo
, art.19: al cittadino europeo viene riconosciuto il suo
diritto di partecipare alle elezioni comunali all’interno dello
Stato dove stabilisce la sua residenza e quelle europee.

Il cittadino italiano, ad esempio,
trasferitosi in Francia partecipa alle elezioni comunali francesi,
partecipa sempre e comunque alle elezioni dei rappresentanti nel
Parlamento europeo, potendo candidarsi anche lui stesso quale
europarlamentare. Per quanto attiene al diritto di voto per le
amministrative, l’esercizio di questo presso il Paese membro in cui
si risiede non comporta la relativa perdita nello Stato di cui si ha
la cittadinanza, invece, per quanto riguarda il diritto di
elettorato attivo al Parlamento europeo, vige il divieto del doppio
voto, ossia l’impossibilità di votare sia nello Stato in cui si
risiede sia in quello di cui si ha la cittadinanza;

3. Diritto di prelazione diplomatica e
consolare
comune in tutti i Paesi terzi art.21: laddove il cittadino
europeo si trovi in un paese terzo e abbia necessità di tutela da
parte della propria ambasciata, in mancanza di questa, una qualsiasi
delle ambasciate e dei consolati degli Stati Membri ha il dovere di
fornire aiuto. Ciò assume particolare rilievo in considerazione del
fatto che fino ad oggi i Paesi terzi presso cui sono rappresentati
tutti gli tati membri sono solamente Russia, Stati Uniti, Giappone,
Cina e Svizzera;

4. Diritto di petizione al Parlamento
Europeo
, art.21: il cittadino, può, individualmente o insieme ad
altri cittadini, presentare petizioni al Parlamento Europeo. Questo
meccanismo di tutela dei diritti individuali e collettivi costituisce
sicuramente uno dei più importanti e significativi legami tra i
cittadini e le istituzioni europee. Le petizioni devono avere ad
oggetto la sfera di attività della Comunità Europea, includendo
anche il II pilastro (la Politica Estera e Sicurezza Comune PESC) ed
il III (Giustizia e Affari Interni GAI);

5. Diritto di accesso al Mediatore
Europeo
, art.21,comma 2: è designato dal Parlamento europeo ed è un
istituto di controllo sugli atti amministrativi coniati sui modelli
svedesi e germanici dell’Ombudsman, che assicura una migliore
protezione dei cittadini nei casi di mala amministrazione. Si tratta
di un ulteriore meccanismo di tutela stragiudiziale dei diritti dei
cittadini.

Il Mediatore indaga in piena autonomia
e sui casi di cattiva amministrazione che si verificano nelle
attività delle istituzioni o degli organi comunitari (escludendosi
il Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia, nell’esercizio
delle loro funzioni giurisdizionali). Inoltre, non può ordinare ad
un’autorità amministrativa di modificare una decisione o di
riparare un torto tramite il pagamento dei danni, trattandosi di un
compito degli organi di giustizia comunitaria. Sicuramente è uno dei
più importanti elementi nella cittadinanza europea, sostanziandosi
soprattutto come controllo democratico delle stesse istituzioni
europee, rendendo le istituzioni europee più vicine ed aperte alle
esigenze dei cittadini

A questi diritti base bisogna
aggiungere i seguenti:

6. Lingue – Diritto di rivolgersi alle
istituzioni o agli organi della Comunità in una delle lingue
previste dai Trattati e di ricevere risposta nella stessa.

Si costituisce così un ulteriore
diritto di petizione rispetto a quelli precedentemente visti, inoltre
il cittadino può svolgere un’azione diretta alla Corte di
Giustizia o al Tribunale di Primo Grado in modo di ottenere una loro
pronuncia;

7. Diritto di accedere ai documenti del
Parlamento europeo:
è un diritto composito che si sostanza nel
diritto ad essere ascoltato prima dell’emanazione di provvedimenti
che rechino pregiudizio e diritto di accedere ai fascicoli che lo
riguardano; obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie
decisioni, diritto di risarcimento dei danni cagionati dalle
istituzioni;

L’insieme di questi diritti assume
una vera e propria rilevanza costituzionale alla stregua di quanto
avviene nelle Corti costituzionali degli Stati Membri relativamente
agli spazi dedicati ai principi fondamentali e ai doveri dei
cittadini.

Alla cittadinanza europea è legata
anche la questione della Carta dei Diritti Fondamentali, proclamata
al Consiglio Europeo di Nizza del 7 dicembre 2000 ed integrata a
seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona firmato nel
2007 pubblicato nella GUCE del 30.3.2010 e che dedica lo specifico
Titolo V al tema della cittadinanza. È inoltre contenuto un articolo
espressamente rivolto ai diritti del minore. I diritti sanciti nella
Carta sono, diritti fondamentali dell’umanità, ma in particolare
diritti fondamentali e inalienabili del cittadino europeo. In tema di
cittadinanza europea del minore è da segnalare la sentenza della
Corte di Giustizia dell’8 marzo 2011 che, nella sostanza, ritiene
che il diritto di soggiorno di un minore cittadino UE debba essere
esteso anche ai genitori che si prendono cura di lui. In pratica
viene affermato che la cittadinanza Europea del minore tutela anche
i suoi ascendenti. Tale principio sembra essere in netto contrasto
con il diritto comunitario che invece nega ai genitori e più in
generale agli ascendenti, la possibilità di soggiornare e lavorare
nello Stato membro in cui il figlio ha la cittadinanza.

Nello specifico la Corte ha affermato
che l’art. 20 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’UE) deve
essere interpretato nel senso che “ esso osta a che uno Stato
membro, da un lato, neghi al cittadino di uno Stato terzo, che si
faccia carico dei propri figli in tenera età, cittadini dell’Unione,
il soggiorno nello Stato membro di residenza di questi ultimi, di cui
essi abbiano la cittadinanza, e, dall’altro, neghi al medesimo
cittadino di uno Stato terzo un permesso di lavoro, qualora decisioni
siffatte possano privare detti figli del godimento reale ed effettivo
dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione”.

Per saperne di più:

Sito della Commissione dell’UnioneEuropea sulla cittadinanza europea