Il contratto di
apprendistato si configura come la principale tipologia contrattuale
per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Esso,
infatti, è rivolto ai giovani tra i 15 e i 29 anni ed è
caratterizzato da una finalità formativa.
Il datore di lavoro, oltre a versare un
corrispettivo per l’attività svolta, è tenuto a formare
l’apprendista attraverso un insegnamento di competenze
tecnico-professionali e di competenze trasversali.
Il Testo Unico approvato a settembre
2011 (D. Lgs. 167/2011) e la Legge di riforma del mercato del lavoro
n. 92 del 2012 hanno innovato profondamente la precedente disciplina.
Il contratto di apprendistato viene definito nel Testo Unico come un
“contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato
all’occupazione dei giovani”.
In particolare, la riforma insiste
fortemente sul valore formativo dell’apprendistato introducendo, a
tal fine, un meccanismo che collega l’assunzione di nuovi
apprendisti al fatto di averne stabilizzati una certa percentuale
nell’ultimo triennio. Prevede una durata minima, ferma restando la
possibilità di durate inferiori per attività stagionali,
ampliandone la possibilità di utilizzo attraverso l’innalzamento
del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati.
La nuova normativa, oltre a
regolamentare le diverse tipologie contrattuali previste per
l’apprendistato (apprendistato per la qualifica e per il diploma
professionale; apprendistato professionalizzante o contratto di
mestiere; apprendistato di alta formazione e ricerca), unifica
all’interno di una sola disposizione (articolo 2) la
regolamentazione normativa, economica e previdenziale del contratto,
garantendo la semplificazione dell’istituto e l’uniformità di
disciplina a livello nazionale.
Le norme sull’apprendistato sono state incorporate nel Testo unico sui contratti di lavoro (decreto legislativo del 15 giugno 2015 n. 81, dall’articolo 41 al 47.
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Requisiti necessari del contratto di apprendistato
In particolare, la disciplina del
contratto è rimessa totalmente alle parti sociali, attraverso il
rinvio alla disciplina attuativa recata da appositi accordi
interconfederali o da contratti collettivi di lavoro stipulati a
livello nazionale dai sindacati comparativamente più rappresentativi
sul piano nazionale, nel rispetto di una serie di principi:
1. forma scritta del contratto, del patto
di prova e del relativo piano formativo individuale da definire,
anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione
collettiva o dagli enti bilaterali, entro 30 giorni dalla
stipulazione del contratto.
2. durata minima del rapporto di apprendistato non inferiore a sei mesi (fatte salve le attività stagionali) in base all’articolo 1, comma 16, della L. 92/2012;
3. divieto di retribuzione a cottimo;
4. flessibilità: possibilità di inquadrare il
lavoratore fino a 2 livelli inferiori rispetto alla categoria
spettante, in applicazione del CCNL, ai lavoratori addetti a mansioni
o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al
conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in
alternativa, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura
percentuale e in modo graduale all’anzianità di servizio;
5. presenza di un tutore o referente
aziendale;
6. finanziamento esterno: è prevista la possibilità di finanziare i percorsi
formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi
paritetici interprofessionali, anche attraverso accordi con le
Regioni;
7. riconoscimento della
qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze
acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché nei percorsi
di istruzione degli adulti;
8. registrazione della formazione
effettuata e della qualifica professionale a fini contrattuali;
9. possibilità di prolungare il periodo
di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di
sospensione involontaria del rapporto, superiore a trenta giorni,
secondo quanto previsto dai contratti collettivi;
10. possibilità di conferma in servizio,
senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del
percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato;
11. divieto per le parti di recedere dal
contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta
causa o di un giustificato motivo. In caso di licenziamento privo di
giustificazione trovano applicazione le sanzioni previste dalla
normativa vigente;
12. recesso (con preavviso) solo al termine del periodo di
formazione (ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2118 c.c.). Nel
periodo di preavviso (secondo quanto disposto dall’articolo 1,
comma 16, della L. 92/2012) continua a trovare applicazione la
disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti
esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione,
il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato.
Norme a tutela dell’apprendistato
La L. 92/2012 ha previsto che
l’assunzione di nuovi apprendisti è possibile solo se risulta
confermato, al termine del percorso formativo, il 50% dei rapporti di
apprendistato svolti nell’ultimo triennio.
Per i primi 36 mesi dall’entrata in
vigore della suddetta legge e, quindi, fino al 18 luglio 2015, tale
percentuale è tuttavia ridotta al 30%. Sono esclusi
dall’applicazione di tali norme i datori di lavoro che hanno alle
dipendenze un numero di dipendenti inferiore a 10 unità. Dal computo
della percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante
il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta
causa.
Qualora non sia rispettata la predetta
percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista
rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso
di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi.
Gli apprendisti assunti in violazione
dei suddetti limiti sono considerati lavoratori subordinati a tempo
indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto.
Tali disposizioni non si applicano nei
confronti dei datori di lavoro che occupano alle loro dipendenze un
numero di lavoratori inferiore a 10 unità (comma 3-ter).
Dal 1° gennaio 2013, il datore di
lavoro, anche per il tramite di un’agenzia di somministrazione di
lavoro, può assumere apprendisti nel numero di 2 ogni 3 dipendenti
(prima il rapporto numerico era di 1/1).
Per i datori di lavoro con meno di 10
dipendenti rimane il rapporto numerico di 1/1 e pertanto non si può
superare il limite del 100% di assunzioni di apprendisti rispetto
alle maestranze specializzate e qualificate.
Il datore di lavoro senza dipendenti
specializzati o qualificati oppure che ne abbia meno di 3, può
comunque assumere fino a 3 apprendisti. Alle imprese artigiane si
applicano i limiti dimensionali previsti dalla Legge-Quadro
sull’artigianato (L. 443/85).
Tutela e limiti all’assunzione di
apprendisti con contratto di somministrazione di lavoro
E’ in ogni caso esclusa la possibilità
di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di
somministrazione a tempo determinato.
L’apprendista rientra nell’ambito di
applicazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego,
l’ammortizzatore sociale che a partire dal 1° gennaio 2013 va a
sostituire le prestazioni di sostegno al reddito in caso di perdita
di occupazione.
Ponendo l’attenzione sul tema
specifico del lavoro minorile, tra le diverse tipologie contemplate
dall’’art. 3 del Testo Unico, rileva l’apprendistato per la
qualifica e per il diploma professionale”. Trattasi di un
contratto, utilizzabile in tutti i settori di attività, con il quale
possono essere assunti i soggetti con un età compresa tra 15 e 25
anni con la possibilità di assolvere l’obbligo scolastico in
ambiente di lavoro.
Il contratto di apprendistato, quindi,
deve essere utilizzato affinché l’apprendista raggiunga alla fine
una qualifica professionale.
Quanto dura l’apprendistato?
Per stabilire l’esatta durata del
contratto di apprendistato occorrerà considerare:
- la qualifica che l’apprendista dovrà
conseguire; - il titolo di studio dell’apprendista;
- i crediti professionalizzanti e
formativi acquisiti dall’apprendista; - il bilancio delle competenze che viene
realizzato dai servizi pubblici per l’impiego o dalle agenzie
private regolarmente accreditate tramite l’accertamento dei crediti
formativi così come stabilito dalla L. 53 del 28 marzo 2003.
La regolamentazione di questa tipologia
di apprendistato è demandata alle Regioni previo accordo in
Conferenza permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome, sentite le associazioni dei datori di lavoro secondo i
seguenti criteri:
- definizione della qualifica o diploma
professionale; - previsione di un monte ore di
formazione; - rinvio ai contratti collettivi di
lavoro delle modalità di erogazione della formazione aziendale nel
rispetto degli standard generali fissati dalle Regioni.
La durata massima del contratto non può
essere superiore, per la sua componente formativa, a 3 anni elevabili
a 4 nel caso di diploma quadriennale regionale (comma 1).
Norme di semplificazione recenti:
La Legge 99/2013, di conversione del
D.L. 76/2013, in merito all’apprendistato professionalizzante,
introduce alcune semplificazioni, derogatorie del Testo Unico,
riguardanti il piano formativo individuale, la registrazione della
formazione e la formazione nel caso di imprese multilocalizzate. Tali
semplificazioni, che vengono di seguito riassunte, sono state accolte
nelle Linee Guida adottate dalla Conferenza Stato-Regioni il 20
febbraio 2014.
In sintesi:
1. La formazione di base e trasversale
è obbligatoria nella misura in cui:
sia disciplinata come tale nell’ambito
della regolamentazione regionale
sia realmente disponibile per l’impresa
e per l’apprendista
2. La formazione può realizzarsi in
Formazione a distanza (FAD) con modalità definite dalle regioni
3. Il piano formativo individuale è
obbligatorio solo per la formazione professionalizzante
4. La formazione effettuata va
registrata sul libretto formativo del cittadino, in assenza del quale
va utilizzato un documento che deve avere i contenuti minimi del
modello di libretto formativo di cui al Decreto Min. Lavoro del 10
ottobre 2005.
5. Per le imprese multilocalizzate si
rimanda alla “piena attuazione delle Linee Guida”, quindi
alle disposizioni di uniformità delle discipline regionali che
dovranno essere attuate.
La Circolare ministeriale n. 35/2013 ha
fornito talune indicazioni operative sull’applicazione delle novità
introdotte dalla L. 99/2013.
Il Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 34,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale 20 marzo 2014, n. 66 (in prossimità
di conversione in Legge essendo stato approvato dal Senato con
maxiemendamento del Governo il 7 maggio scorso) contiene, tra le
altre cose, interventi di semplificazione sul contratto di
apprendistato:
- viene previsto il ricorso alla forma
scritta per il solo contratto e patto di prova (e non, come
attualmente previsto, anche per il relativo piano formativo
individuale) e l’eliminazione delle attuali previsioni secondo cui
l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata
alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del
percorso formativo; - la retribuzione dell’apprendista, per
la parte riferita alle ore di formazione, viene quantificata nel 35%
della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento; - per il datore di lavoro viene eliminato
l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e
di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un
elemento discrezionale.
Nella nuova disciplina
dell’apprendistato, dettata dall’articolo 2 del maxiemendamento
sostitutivo approvato il 7 maggio 2014 dal Senato, è previsto che il
contratto scritto contenga il piano formativo individuale in forma
sintetica.
Ma la novità più importante è
probabilmente rappresentata dalla possibilità per le aziende di
assumere dei giovani con contratto da apprendista anche per brevi
periodi, cioè per il lavoro stagionale. Per garantire questa
opportunità alle imprese, però, le amministrazioni regionali
dovranno mettere a punto un sistema di formazione basato
sull’alternanza scuola-lavoro. Inoltre, i contratti collettivi di
lavoro potranno anche definire specifiche modalità per l’utilizzo
dell’apprendistato stagionale.
Gli altri contratti applicabili
I minori possono essere impiegati non
soltanto con il contratto di apprendistato, ma anche con le altre
tipologie contrattuali previste dall’ordinamento, nel rispetto dei
requisiti di legge previsti.
Pur essendo l’apprendistato il canale
privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, la
normativa sul lavoro minorile non pone particolari limitazioni in
ordine ai contratti stipulabili con i minorenni, salve eventuali
incompatibilità previste dalle norme che disciplinano la singola
tipologia contrattuale.
E’ tuttavia importante segnalare che
le disposizioni contenute nella Legge n. 977/1967 sono riferibili
esclusivamente ai rapporti di lavoro, anche speciali, di natura
subordinata (cfr. ferie, riposi, retribuzione etc.): sembra dunque da
escludere la possibilità che un minore svolga attività di lavoro
autonomo e a progetto in quanto mancherebbe una norma di legge
che abiliti il minore a prestare tale attività.
Lavoro a tempo indeterminato
Per quanto sopra segnalato, anche il
contratto a tempo indeterminato può trovare piena applicazione nei
confronti dei minori, seppur con i limiti normativi previsti a tutela
degli stessi. R’ poco praticato per alcune considerazioni che, dal
lato del datore di lavoro, appaiono rilevanti: l’apprendistato, ad
esempio, costa di meno sul piano retributivo e contributivo e ”gode”,
a differenza del contratto a tempo indeterminato, della possibilità
di risolvere il rapporto, previo preavviso, al termine della fase
formativa. Tali considerazioni tuttavia non tengono conto delle
agevolazioni introdotte dal Decreto Lavoro del quale si rimanda la
trattazione nel capitolo successivo.
Contratto di lavoro a termine
Un analogo discorso va fatto per il
contratto a termine, rispetto al quale vanno aggiunte le limitazioni
riferite alla causale, previste dall’art.1 del D. Lgs. n.368/01
(esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive):
peraltro, come nel contratto a tempo indeterminato, anche in quello a
termine sono “in toto” applicabili le limitazioni postulate dalla
L. n.977/67 a tutela del giovane (si pensi all’orario di lavoro, ai
riposi intermedi e settimanali, al divieto del lavoro notturno e
dello straordinario, alla particolare valutazione dei rischi, alle
lavorazioni vietate agli adolescenti ecc).
Lavoro intermittente
L’art. 34 comma2, del D. Lgs.
n.276/03, afferma che il lavoro intermittente può essere reso da
soggetti con meno di 25 anni o da lavoratori con più di 45 anni,
anche pensionati, indipendentemente dal tipo di attività svolta.
Alcune situazioni pratiche ne rendono, di fatto, difficoltosa
l’applicazione agli adolescenti (es. lavoro serale o notturno nei
locali pubblici nei fine settimana ecc).
Lavoro Accessorio
Una riflessione del tutto diversa va,
invece, effettuata per il lavoro occasionale ed accessorio,
disciplinato dagli artt.70 e ss. del D. Lgs. n.276/03 successivamente
modificato con le L. n.133/08 e n.191/09.
È una particolare modalità di
prestazione lavorativa la cui finalità è quella di: i)
regolamentare quelle prestazioni occasionali, definite appunto
‘accessorie’, che non sono riconducibili a contratti di lavoro in
quanto svolte in modo saltuario e ii) tutelare situazioni non
regolamentate. Il pagamento di tale prestazione avviene attraverso
‘buoni lavoro’ (voucher) e sono garantite la copertura previdenziale
presso l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL.
Tra i prestatori che possono accedere
al lavoro accessorio vi sono gli “studenti nei periodi di vacanza”
(come definiti dalla Circolare n. 4 del 3 febbraio 2005 del Ministero
del lavoro e delle Politiche sociali).
Sono considerati studenti “i
giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti ad un
ciclo di studi presso l’Università o istituto scolastico di ogni
ordine e grado”. I giovani debbono, comunque, aver compiuto i 16
anni di età e, se minorenni, debbono possedere un’autorizzazione
alla prestazione di lavoro da parte del genitore o di chi esercita la
potestà genitoriale. Inoltre, in caso di esposizione dei minori ad
attività a rischio (in particolare, nei settori dell’industria e
dell’artigianato manifatturiero) va presentato il certificato
medico di idoneità al lavoro.
Gli studenti possono effettuare
prestazioni di lavoro accessorio anche il sabato e la domenica in
tutti i periodi dell’anno, oltre che nei periodi di vacanza e
compatibilmente con gli impegni scolastici. Gli studenti iscritti ad
un ciclo regolare di studi universitari possono svolgere lavoro
accessorio in qualunque periodo dell’anno.
Tirocinio formativo
Il tirocinio formativo (o stage) è un
contratto volto a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del
lavoro. È definito come una misura di politica attiva consistente in
un orientamento al lavoro e formazione. Pur non configurandosi come
un rapporto di lavoro, è finalizzato all’arricchimento delle
conoscenze, all’acquisizione di competenze professionali e
all’inserimento e reinserimento lavorativo.
Per realizzare un tirocinio formativo è
necessaria una convenzione tra l’ente promotore (università,
scuole superiori (pubbliche e private), provveditorati agli studi,
agenzie per l’impiego, centri pubblici di formazione professionale
e/o orientamento, fondazioni dei consulenti del lavoro, comunità
terapeutiche e cooperative sociali, servizi di inserimento lavorativo
per disabili, istituzioni formative private non a scopo di lucro) e
il soggetto ospitante (azienda, studio professionale, cooperativa,
enti pubblici etc.), corredata da un progetto formativo redatto dal
datore di lavoro.
L’Istituto è disciplinato dalla
Legge 196/97 (articolo 18), dal Decreto del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale del 25 marzo 1998, n.142 (che ne definisce i
criteri e le modalità di utilizzo) e dal Decreto Legislativo
276/2003 che ha introdotto i tirocini estivi di orientamento.
Il D. L. 138/2011 (convertito con
modifiche nella Legge 148/2011) aveva previsto, all’art. 11, che –
ad eccezione di particolari categorie di beneficiari – i tirocini
formativi e di orientamento “non curriculari” legati ai percorsi
di transizione dalla scuola o dall’Università al lavoro, non
potessero avere durata superiore a sei mesi, proroghe comprese e che
gli stessi potessero essere promossi unicamente a favore di
neo-diplomati o neolaureati entro e non oltre dodici mesi dal
conseguimento del relativo titolo di studio.
Con la Circolare n.24 del 12 settembre
2011, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha voluto
fornire alcuni chiarimenti in merito all’applicazione del predetto
articolo 11 che è stato, peraltro, dichiarato illegittimo dalla
Corte Costituzionale (sentenza 287/2012), in quanto la
regolamentazione statale ha invaso la competenza regionale in materia
di tirocini.
In questa sede, il Ministero ha colto
l’occasione per elencare tutte le tipologie di tirocinio non
rientranti nelle stringenti maglie della nuova normativa:
i tirocini “curriculari”, sono
quelli inclusi nei piani di studio delle università e degli istituti
scolastici, la cui finalità è quella di affinare il processo di
apprendimento e di formazione. Devono essere promossi da soggetti ed
istituzioni formative (università o istituti di istruzione
secondaria abilitati al rilascio di titoli accademici, da istituzioni
scolastiche che rilascino titoli di studio con valore legale, da
centri professionali operanti in regime di convenzione con Regioni o
Province) a favore dei propri studenti e allievi frequentanti, per
realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro;
i tirocini “non curriculari”, sono
invece:
i cosiddetti “tirocini di
reinserimento o inserimento al lavoro”, cioè quelli svolti a
favore dei disoccupati, compresi i lavoratori in mobilità e degli
inoccupati, e la cui disciplina resta integralmente affidata alle
Regioni;
i tirocini promossi a favore dei
lavoratori stranieri (di cui all’articolo 27, lettera f), Testo
Unico 286 del 1998);
i periodi di praticantato richiesti
dagli ordini professionali, che restano disciplinati da normative di
settore.
La L. 92/2012 ha previsto
l’introduzione di linee guida finalizzate a stabilire degli
standard minimi uniformi in tutta Italia e ad evitare un uso distorto
e illegittimo dei tirocini.
Le Linee-guida in materia di tirocini
2013 sono state adottate dalla Conferenza Unificata Stato, Regioni e
Province Autonome in data 24 gennaio 2013 e sono applicabili solo ad
alcuni tipi di tirocini.
Nelle Linee-Guida si stabiliscono gli
standard minimi previsti a cui le Regioni e le Province autonome si
sono uniformate nell’adeguamento della propria normativa e sono
indicati i tirocini alle quali sono applicabili.
Si prevede, inoltre, che le competenze
e i risultati raggiunti dal tirocinante siano registrati sul libretto
formativo tenendo presente che il tirocinante dovrà aver partecipato
ad almeno il 70% della durata del progetto formativo.
Al tirocinante è garantita la
copertura assicurativa contro gli infortuni (INAIL) e per
responsabilità per danni verso terzi. Gli oneri delle garanzie
assicurative possono essere anche a carico delle Regioni e province
autonome.
Pur non costituendo un rapporto
lavorativo, i tirocini disciplinati nelle linee-guida sono soggetti
all’obbligo di comunicazione da parte del soggetto ospitante.
Al fine di evitare un uso distorto del
tirocinio è previsto il riconoscimento di una indennità minima per
le attività svolte dal tirocinante, non inferiore a 300 euro lordi
mensili che le Regioni possono elevare nella definizione delle norme
regionali. Nel caso non venga corrisposta l’indennità è prevista
l’applicazione delle sanzioni di legge indicate dalla L. 92/2012
(multa da un minimo di mille a un massimo di seimila euro).
Contenuti realizzati grazie al contributo reso a titolo gratuito da Mauro Esposito, Isabella Ferrarini e Antonello Prosperini del team legale del Gruppo Telecom Italia, nell’ambito di un’iniziativa pro bono per Save the Children.
Leggi anche:
Norme sull’apprendistato: articoli 41-47 del decreto legislativo del 15 giugno 2015 n. 81