Il lavoro minorile è un fenomeno ampiamente diffuso, non solo nelle società dei Paesi in via di sviluppo, ma anche nei Paesi industrializzati, dove semmai vi è tendenza a nasconderlo, stigmatizzarlo ed a parlarne solo quando vengono denunciate situazioni limite che pregiudicano l’infanzia dei minori, il loro potenziale, la loro dignità nonché il loro sviluppo fisico e morale.

Definizione

Il concetto di lavoro minorile si riferisce al lavoro svolto al di sotto dell’età minima legale di ammissione all’impiego, come stabilito dalla Convenzione dell’ILO (Organizzazione Internazionale per il Lavoro) del 1973, n. 138 sull’età minima (la soglia, fissata da ciascun Paese che ha ratificato la Convenzione, varia da un minimo di 14 anni ad un massimo di 16 anni) e dalla Convenzione sulle peggiori forme dilavoro minorile del 1999, n. 182.

Si tratta di un fenomeno sociale riscontrabile soprattutto in quei contesti in cui il livello di scolarizzazione è limitato (v. rapporto ILO, Action against child labour 2008-2009: IPEC Progress and Future Priorities, 2010).

I dati 

Nonostante il nuovo Rapporto stilato dall’ILO nel 2013 indichi una riduzione di un terzo del lavoro minorile dal 2000 (da 246 milioni a 168 milioni), questo calo non consente di raggiungere l’obiettivo, fissato e condiviso dalla comunità internazionale, di eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016. Inoltre, più della metà dei 168 milioni dei minori nel mondo svolge lavori addirittura pericolosi, che hanno conseguenze dirette sulla loro salute, sicurezza e sviluppo morale.

I principali risultati del rapporto sono i seguenti:

Il maggior numero di bambini lavoratori si trova nell’area Asia-Pacifico (quasi 78 milioni), nonostante l’Africa sub-Sahariana continui ad essere la regione con la più alta incidenza di minori lavoratori in rapporto alla percentuale della popolazione, oltre il 21%.

L’incidenza di lavoro minorile è più elevata nei Paesi poveri, ma i Paesi a medio reddito hanno il maggior
numero di bambini lavoratori.

Il lavoro minorile tra le bambine è diminuito del 40% dal 2000, mentre quello dei bambini solo del 25%.

L’agricoltura rimane il settore in cui si trovano più minori lavoratori (98 milioni di bambini o il 59%), ma il fenomeno è ugualmente rilevante nel settore dei servizi (54 milioni) e nell’industria (12 milioni).

In Italia

Secondo un Dossier statistico del giugno 2013, elaborato da Save The Children e dall’Associazione B.
Trentin, i minori di 16 anni che lavorano sono stimati in circa 260.000, cioè il 5,2% della popolazione in età.

Al crescere dell’età aumenta la quota di chi fa un’esperienza di lavoro, così come emerso da precedenti indagini sul tema: l’incidenza è minima prima degli 11 anni (0,3%), è prossima al 3% tra gli 11-13enni e ha un picco nella classe 14-15 anni (il 18,4%).

Complessivamente, per 100 ragazzi di 14-15 anni, quasi il 22% riferisce di aver fatto una qualche esperienza di lavoro, soprattutto solo dopo i 13 anni.

E’ interessante osservare come questa concentrazione delle esperienze di lavoro in età preadolescenziale
possa essere messa in collegamento con il fenomeno degli “early school leavers” che, come noto, in Italia ha un picco rispetto agli altri Paesi dell’UE.

Nel nostro Paese (dati al 2011), il 18% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni hanno conseguito al massimo il
titolo di scuola media e non hanno concluso un corso di formazione professionale riconosciuto dalla regione di durata superiore ai 2 anni, né frequentano corsi scolastici o svolgono attività formative (di contro ad una media europea pari al 15% e quasi il doppio rispetto al benchmark stabilito dall’Unione Europea pari al 10%).

Contenuti realizzati grazie al contributo reso a titolo gratuito da Mauro Esposito, Isabella Ferrarini e Antonello Prosperini del team legale del Gruppo Telecom Italia, nell’ambito di un’iniziativa pro bono per Save the Children.

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