1. In che modo vengono rispettati i diritti dei bambini in Italia sul lavoro?

In Italia si può lavorare dai 16 anni.
Ma l’età non basta, bisogna anche avere frequentato la scuola per almeno 10 anni (5 anni di scuola primaria, 3 di scuola secondaria di 1° grado e 2 anni di scuola superiore).
La legge prevede che bisogna avere ottenuto la licenza media e avere completato un corso di formazione riconosciuto dallo Stato.
Questa regola vale per tutte le ragazze e i ragazzi in Italia, cittadini italiani o stranieri.

Per ulteriori informazioni consulta la nostra scheda tematica Da che età si può lavorare” .

2. Quanto è diffuso il fenomeno rispetto al resto dell’Europa e del mondo?

Il lavoro minorile è un fenomeno ampiamente diffuso, non solo nelle società dei Paesi in via di sviluppo, ma anche nei Paesi industrializzati, dove semmai vi è tendenza a nasconderlo, stigmatizzarlo ed a parlarne solo quando vengono denunciate situazioni limite che pregiudicano l’infanzia dei minori, il loro potenziale, la loro dignità nonché il loro sviluppo fisico e morale.

3. Lo sfruttamento sul lavoro in Italia avviene solo con ragazzi stranieri o anche di nazionalità italiana?

Secondo l’analisi riportata dal Gruppo CRC, che ogni anno elabora un rapporto di Monitoraggio della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e adolescenza dagli ultimi dati disponibili si stima che lo sfruttamento minorile abbia queste caratteristiche:

  • Al 2013 erano 260000 i minori tra 7 e 15 anni con una qualche esperienza di lavoro (illegale)
  • Il 7% della popolazione in età, con una concentrazione delle esperienze di lavoro precoce tra i pre-adolescenti e in particolare tra i 14-15enni
  • 3 ragazzi su 4 fanno un’esperienza di lavoro per la famiglia (micro-imprese)

Fonte: Indagine Save the Children e Associazione Bruno Trentin (2013), Scannavini, K.- Teselli, A. (2014), Game over. Indagine sul lavoro minorile in Italia, Ediesse, Roma. Leggi qui per maggiori approfondimenti.

4. Qual è la sanzione per chi non rispetta i diritti dei bambini sul lavoro?

Lo sfruttamento lavorativo nel nostro ordinamento è previsto come reato nel diritto penale dall’art. 603 bis c.p.

La nuova norma incriminatrice sanziona con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato (oltre alle pene accessorie previste dall’art. 603-ter c.p.) “chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori”.

Quanto al concetto di “sfruttamento”, il successivo secondo comma fornisce degli indici presuntivi per la sua sussistenza quali “la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato” o “la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria alle ferie”, le violazioni alla normativa in materia di sicurezza e igiene del lavoro e la “sottoposizione del
lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti
”.

Tra le circostanze aggravanti di cui al terzo comma dell’art. 603-ter, che comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà, è stato espressamente previsto il “fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa”.

Inoltre, nelle forme più gravi di sfruttamento lavorativo minorile è ipotizzabile il reato di “riduzione in schiavitù” di cui all’art 600 c.p.

5. In quale parte d’Italia e settore del lavoro questo fenomeno è più diffuso? Perché?

Uno dei maggiori problemi dello sfruttamento economico e lavorativo in Italia è la mancanza di dati aggiornati che possano rispondere con certezza alle vostre domande. Considerando che i dati sono fermi da diciassette anni, poiché l’ultima indagine ISTAT è del 2000.

L’unica indagine dell’ISTAT sul lavoro minorile risale al 2000 e riguarda in chiave retrospettiva le esperienze di lavoro, prima dei 15 anni, dei 15-18enni. Cfr. ISTAT, Bambini, lavori e lavoretti. Verso un sistema informativo sul lavoro minorile. Primi risultati, Roma 2002.

A rafforzare la richiesta di monitoraggio nel 2008 sono intervenute la Commissione della Camera, del Senato e del CNEL evidenziando la necessità di realizzare un sistema di statistiche sul lavoro minorile (Cfr. Coccia, G. – Righi, A. (a cura di), Il lavoro minorile: esperienze e problematiche di stima,  2008), per garantire un monitoraggio istituzionale del fenomeno, ancora oggi assente. Dall’indagine di Save the Children e Bruno Trentin del 2013 emerge che:

  • Nel 73% dei casi sono giovani italiani mentre il 27% è costituito per lo più da ragazzi di origine straniera (in genere della Romania, Albania, Africa del nord).
  • Più del 60% degli intervistati ha svolto attività di lavoro tra i 14 e i 15 anni. Tuttavia, oltre il 40% ha avuto esperienze lavorative al di sotto dei 13 anni e circa l’11% ha svolto delle attività persino prima degli 11 anni.
  • Lo sfruttamento lavorativo è diffuso in 4 ambiti principali: ristorazione, settore agricolo, commercio e artigianato.
  • Il 20% dei minori fanno lavori di tipo continuativo e sono “a rischio di sfruttamento”; il lavoro crea un’interruzione nella frequenza scolastica, interferisce con lo studio, non lascia tempo per il divertimento con gli amici, per riposare e viene percepito come moderatamente pericoloso.

6. Cosa fa Save the Children per impedire lo sfruttamento minorile sul lavoro?

– A livello di ricerca teniamo l’attenzione pubblicando un aggiornamento dello sfruttamento minorile ogni anno nel rapporto Piccoli schiavi invisibili e come Coordinamento del Gruppo CRC nel Rapporto CRC di Monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.

– A livello di proposte politiche chiediamo con forza che il tema diventi prioritario e in particolare raccomandiamo:

  • Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di incaricare l’ISTAT, così come anche sollecitato da altri soggetti istituzionali, di intraprendere un monitoraggio del lavoro minorile, attraverso l’implementazione di un sistema statistico del lavoro minorile;
  • Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di attivare strumenti operativi di promozione, di policy e interventi sul tema;
  • Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Ministero dello Sviluppo Economico di promuovere politiche finalizzate alla crescita economica dei territori e di sostegno alle famiglie

7. Come si potrebbe combattere il fenomeno anche a livello internazionale?

L’ International Labour Organization (ILO) si occupa di monitorare e contrastare il fenomeno del lavoro minorile a livello internazionale.

Nel 2015 ILO ha pubblicato il Rapporto Globale sul lavoro minorile “Aprire ai giovani la strada del lavoro dignitoso”.